Nicolas Sheff ha 18 anni, è poco più alto di un metro e ottanta e pesa circa cinquantotto chili, forse un po’ meno. Ha i capelli castani lunghi fino alle spalle e gli occhi verdi. Nicolas è il protagonista di questa storia, ma il suo ingresso in scena non avviene con la sua presenza fisica, bensì per via indiretta. Dapprima attraverso la descrizione verbale del padre, che chiede al telefono se si hanno notizie del figlio scomparso, poi attraverso le fotografie di lui da bambino. Parole e immagini, testimonianze in frantumi di una persona che c’è ma non c’è mai davvero stata, e che forse sta svanendo del tutto. Non c’è forma più indicata per rappresentare l’effetto della dipendenza dalle sostanze stupefacenti: Nicolas ha provato ogni genere di droga, da quelle leggere a quelle pesanti. Spinelli, pasticche, eroina… ma le sue preferite sono indubbiamente le metanfetamine, la crystal meth. E quando ne fa uso si sente vivo, grande, audace. Capace di fare cose che non avrebbe mai fatto altrimenti. Finalmente al di fuori di quella “stupida realtà” in cui si vede intrappolato, sente di esistere davvero. Finendo per non esistere affatto.
Thimothée Chalamet, con la sua fisicità esile e delicata, incarna alla perfezione questo giovane evanescente, questo “ragazzo meraviglioso”. Beautiful Boy è ispirato alla storia vera di Nicolas Sheff ed è tratto dal libro “Beautiful Boy: A Father's Journey Through His Son's Addiction” scritto dal padre, David Sheff, che nel film ha il volto di Steve Carell. Per la trasposizione cinematografica, il regista Felix Van Groeningen investe tutto proprio sul rapporto padre-figlio. E come già accadeva nel suo precedente Alabama Monroe - Una storia d’amore, dove una coppia vedeva lentamente morire di leucemia la figlioletta di appena sei anni, la carica drammatica viene spesso concentrata attraverso l’uso della colonna sonora: nei momenti più intensi ed emotivamente significativi, la musica investe con prepotenza la scena fino a saturare l’immagine e sostituire le parole. Sono proprio le canzoni che, in alcuni casi, completano i dialoghi e dicono ciò che ancora non è stato detto, o che non si ha il coraggio di dire.
A partire dal brano che dà titolo al libro e al film: Beautiful Boy. “Close your eyes, have no fear. The monster's gone, he's on the run and your daddy's here”, cantava John Lennon. E David in effetti è quasi sempre lì, pronto ad accogliere il figlio e a offrirgli conforto. Ma la strada è lunga e spesso anche molto difficile: “Out on the ocean sailin’ away, I can hardly wait to see you come of age. But I guess, we'll both just have to be patient, ‘cause it's a long way to go, a hard row to hoe”. Sarà per questo che il film torna così spesso sui primi momenti di vita del ragazzo attraverso i ricordi del padre. Quando Nic, ancora bambino, vede per la prima volta il suo fratellino appena venuto al mondo. O ancora quando fa da testimone al matrimonio con la nuova compagna del padre, Karen. Un flashback dopo l’altro si vanno a incastonare nello scorrere presente della narrazione, provocando una sorta di strappo temporale tra il prima e il dopo, tra l’infanzia e l’adolescenza di Nic. Un costante scandagliare nel passato, come se David cercasse di capire dove ha sbagliato nell’adempiere al suo ruolo genitoriale. Ed è quasi sempre in questi momenti che la musica viene in soccorso: c’è la potenza autodistruttiva dei Nirvana in “Territorial Pissings” che esprime lo straziante senso di alienazione di un ragazzo appena maggiorenne, c’è la voce soave di Tim Buckley nell’eterna dolcezza di “Song to The Siren”, quando i due si perdono tra le onde mentre fanno surf. Ci sono i Sigur Ròs e il “cuore d’oro” di Neil Young. C’è, infine, una sinfonia di Henryk Górecki che racconta uno dei momenti più tragici e definitivi della trama. Ma soprattutto c’è la poesia di un legame inscindibile, di un amore di un padre per il figlio che sa andare oltre il dolore, e, se dovesse succedere, oltre la morte.
Nicolas Sheff ha 18 anni ed è un bravo studente: scrive per il giornale della scuola, recita nello spettacolo teatrale di fine anno e fa parte della squadra di pallanuoto. Ama leggere e possiede una spiccata sensibilità artistica; in autunno andrà al college. Da quando ha 12 anni però, ama sperimentare le droghe; da qualche tempo ha provato la metamfetamina e, come lui stesso dichiara, “Il mondo, da bianco e nero, improvvisamente è diventato in Technicolor”. In breve tempo Nic, da semplice adolescente che fa uso sporadico di stupefacenti, si trasforma in un vero e proprio tossicodipendente.