<p style="\"text-align:" justify;\"="">Giovedì 28 ottobre l’inaugurazione del Festival del cinema di Roma è stata bloccata dalla preannunciata manifestazione del Movimento unitario dei lavoratori del cinema e dello spettacolo, che protestava contro la politica del Governo nei confronti del settore. Politica all’insegna dei tagli e di un disprezzo pubblicamente elargito a suon di battute sconcertanti quanto volgari. Il Movimento, riunito sotto il nome di “Tutti a casa” (si batte anche contro il provvedimento di chiusura della Casa del Cinema, attiva nella capitale dal 2004) ha occupato il “red carpet” impedendo la sfilata dei protagonisti della serata di apertura, in particolare della regista Massy Tadjedin e delle due star femminili Eva Mendes e Keira Knightley. Che però non solo non se la sono presa, ma hanno addirittura solidarizzato, attraverso le dichiarazioni della regista, con i manifestanti contro i tagli alla cultura. Lavoratori (del cinema) di tutto il mondo unitevi (?!). L’edizione 2010 del Festival si è posta così oggettivamente sotto il segno del rinnovato impegno del cinema italiano, dei suoi rappresentanti più noti così come dei suoi lavoratori tutti (quelli che scorrono nei titoli di coda, come giustamente ricordava uno degli slogan presenti in manifestazione), inteso a contrastare le decisioni che – in imbarazzante controtendenza rispetto alle valutazioni e ai provvedimenti che caratterizzano la politica culturale di tutti i Paesi di avanzata economia industriale – penalizzano insensatamente la produzione e la diffusione culturali. E in questa situazione, allo stato attuale delle cose, non bastano certo a ridare ottimismo le precipitose dichiarazioni governative d’occasione che hanno cercato di smorzare la protesta, anticipandola di poche ore con la promessa che da qui alla fine dell’anno il Governo cercherà di risolvere questi problemi, «compatibilmente con i conti pubblici». Al centro della protesta sono i tagli governativi al Fondo Unitario dello Spettacolo (F.U.S.) che dovrebbe rappresentare il contributo statale alla realizzazione e al sostegno sul mercato di quelle opere e di quelle attività in senso più lato che alla crescita culturale del nostro Paese contribuiscono alla pari. Lo abbiamo già detto, ma l’occasione di ripeterlo ci pare in questi giorni più che opportuna: riferendoci al settore del cinema, al di là di chi i film li scrive, li dirige, li interpreta, ne permette tecnicamente la realizzazione, il contributo statale negli ultimi decenni ha anche fatto sì che potessero operare liberamente quelle associazioni impegnate, con i loro circoli locali e non solo, alla diffusione del cinema di cultura: una diffusione fatta anche di approfondimento, discussione, ricerca, affinamento dei gusti e degli strumenti critici degli spettatori che a tali associazioni fanno riferimento, stabilendo con esse legami capaci di durare spesso una vita intera. Poiché si tratta di associazioni senza fini di lucro, quello di “operare liberamente” è un concetto che non può concretamente affermarsi senza un adeguato sostegno finanziario: soltanto nella forma del Fondo Statale quel sostegno può garantire la necessaria assenza di interessi che contraddicano l’esplicita volontà di assicurare ai propri iscritti un servizio culturale degno di questo nome. Inutile ricordare ai nostri lettori che il taglio progressivo del F.U.S. ha significato dunque negli ultimi anni una riduzione significativa dei contributi anche alle associazioni di cultura cinematografica, compresa la Federazione Italiana Cineforum, editrice di «Cineforum». Se cogliamo il momento per ribadire queste verità nell’occasione fornitaci dalla mobilitazione romana, lo facciamo nell’interesse comune di chi come noi intende continuare a lavorare in favore di una crescita qualitativa e quantitativa del pubblico cinematografico più esigente. E, naturalmente, per il futuro di questa rivista che compirà tra poco i suoi primi 50 anni.