Gli amici di «Cineforum» mi chiedono un ricordo di Ermanno Comuzio e io lo faccio al tempo stesso con piacere e con autentica tristezza. In occasione della sua morte l’«Eco di Bergamo» ebbe la gentilezza, il 25 agosto, di citare la frase «chiediamolo a Comuzio» che avevo inserito, con scrupoloso riscontro di verità, nella prefazione del suo libro fondamentale sui musicisti dello schermo. Frase che non era altro che la testimonianza di quel che tutti pensavano a proposito dell’intelligente diligenza dell’opera di Comuzio critico e storico del cinema. Io lo conoscevo e lo apprezzavo da molti anni, pur nei limiti di quella “conoscenza da Festival” che è tipica dei giornalisti cinematografici: ci si vede tutti gli anni alla stessa manifestazione, ci si scambiano opinioni e valutazioni alla fine delle proiezioni e delle conferenze stampa, si concorda o si dissente, e poi ci si segue solo sugli scritti per rivedersi un anno dopo. Ermanno era un diligente e industre frequentatore di manifestazioni cinematografiche, da Cannes a Venezia, da Trento ad Assisi, e riproponeva ovunque quella sua civile, quieta e creativa disponibilità intellettuale “di provincia” che lo saldava ad altri due cari colleghi provenienti anche essi da città grandi ma non grandissime, come Alberto Pesce (Brescia) e Giulio Cattivelli (Piacenza). Tutti esempi insuperati di una concezione dell’impegno personale e della disinteressata ricerca culturale che purtroppo avvertiamo sempre più rare. Piero Pruzzo, un altro vecchio amico mio e suo, mi ricordava l’altro giorno la figura di Ermanno che negli anni ’60 si aggirava nei festival con un enorme registratore d’epoca a tracolla (evidentemente per captare le colonne sonore dei film, anche se allora poco lo capivamo). Era l’evidente manifestazione di una scrupolosa tendenza all’esattezza ed alla completezza dell’informarsi e dello scrivere che era tipica del suo modo d’intendere il suo rapporto con il cinema e con la musica, e, per dirla con una parola grossa, con la cultura e con la diffusione della cultura.
Ma ci ho provato, e con affetto.