Roy Andersson dice di molti suoi personaggi: «Beato chi è infelice e stupido». Anche nel Piccione, ci sono molti infelici e stupidi. Andersson vuole loro bene. La frase più ripetuta nel film viene detta al telefono: «Sono contento/a di sentire che state bene». Dopo i primi film, Una storia d’amore, del 1969, e Giliap, del 1975, e dopo una sosta di 12 anni, nel 1987, Andersson gira Something Happened (È successo qualcosa), 24 minuti, 25 quadri, sull’aids. I primi film erano girati secondo modalità consuete, vicine all’impressione di realtà e con un montaggio tradizionale. Negli anni di silenzio cinematografico, che diventano 25 prima di arrivare a un altro lungometraggio, Andersson si occupa di pubblicità e matura la decisione di girare per immagini fisse, per quadri, senza montaggio interno. Fa pubblicità per una compagnia di assicurazioni, per il Lotto svedese e per il Partito Socialdemocratico che usa gli spot nelle campagne elettorali 1982 e 1985 e vince le elezioni. Questi spot politici di successo, sovversivi e popolari, vedevano alla fine il trionfo antisociale del forte sul debole ma terminavano con il contraccolpo democratico di una frase che ribaltava la situazione: «Perché mai dovremmo trattarci male l’un l’altro?». È con questi spot che Andersson e il direttore della fotografia István Borbás mettono a punto la scelta di girare per quadri.
I quadri vengono poi adottati in tutti i film, dal ricordato Something Happened a un altro corto, World of Glory (Mondo di gloria), del 1991, 15 minuti, 15 quadri, e nei 3 film lunghi, imparentati tra loro: Canzoni del secondo piano, 2000, 46 quadri; You the Living, 2007, unico film di Andersson uscito fugacemente in Italia, 52 quadri; e adesso il Piccione che di quadri ne ha 39 e ha vinto il Leone d’oro alla Mostra di quadri di Venezia.
Andersson, dal 1987, ha dipinto cinematograficamente 177 quadri. Si possono esporre tutti proiettando di seguito i 5 film corti e lunghi, togliendo titoli di testa e coda. L’idea di costruire film per quadri è vecchia come il cinema. Discende dagli inizi del cinematografo quando la prima mossa per andare verso l’occhio cinematografico fu l’aggiungere all’inquadratura fissa di una scena l’inquadratura fissa di un’altra scena e un’altra e un’altra e così il racconto proseguiva. Andersson fa suo quel cinema a quadri fissi. Ama questa forma di composizione perché gli permette di mettere in forma il mondo e di costruire particolari forme di narrazione.
Ogni suo quadro è riassuntivo di un mondo: la stanza in cui uno suona un gigantesco bombardone in You the Living, o nel Piccione l’osteria con Lotta la zoppa di Göteborg (pronunciare “jœta’b?rj”, come si sente nella canzone) che si fa pagare a baci dai soldati, o una strada su cui passa un vecchietto. Il quadro del vecchietto in You the Living dice bene il lavoro di spoliazione, concentrazione e sorridente rivelazione di Andersson. L’inquadratura è spoglia: un vecchietto spinge il deambulatore, la strada è in leggera salita, il vecchietto fa fatica anche perché ha qualcosa attaccato a un lungo nastro dietro di sé, qualcosa che sta fuori campo. È un cagnolino fatto su come un salame nel guinzaglio, che muove a vuoto per aria le gambette e viene tirato mentre striscia sul selciato. Ecco il quadro: la fatica di un vecchio col deambulatore che si trascina un cagnolino imbrigliato nel guinzaglio. C’è il male di vivere e ci sono, affettuosi, il sorriso di Andersson e il nostro.
Nel resto del film il vecchietto non torna più. Alcuni quadri sono isolati dal resto del film, come all’inizio del Piccione i tre casi di decessi, tutti da ridere, uno in un affollato self service. Altri quadri si raggruppano secondo la modalità primordiale di fissità + fissità + fissità… fino a costruire un minimo o più disteso racconto. I quadri possono presentare personaggi che ritornano come, nel Piccione, i tristi e infelici venditori di oggetti per far ridere, denti da vampiro, sacchetti da risata, maschere di zio Dentone, venditori e oggetti che ci fanno ridere perché non fanno ridere per niente.
E i quadri di un film possono richiamare altri quadri e personaggi di film precedenti: quella dei 177 quadri di Roy Andersson è una esposizione per galleria cinematografica con rimandi tra quadri. I venditori di oggetti per non ridere sono imparentati con i venditori di Canzoni del secondo piano, ugualmente sfigati, che pensavano di far fortuna nel 2000, bimillenario tondo dell’era cristiana, vendendo crocifissi di varie misure, dai piccoli da parete ai possenti Cristi da chiesa, e finivano per buttarli via in una discarica visto il disinteresse generale per redenzione e salvezza.
I quadri hanno di norma colori leggeri, grigio pallido, marroncino chiaro, giallino sporco, verdi smorti, azzurri biancastri. Ogni quadro è di norma impostato secondo le regole della prospettiva rinascimentale. Nei molti interni, luoghi prediletti da Andersson, le linee dei pavimenti e dei soffitti corrono verso lontani e irraggiungibili punti di fuga. Sono interni privati, stanze cucine salotti camere da letto corridoi, e interni di luoghi pubblici, uffici aule scolastiche bar ristoranti chiese un vagone della metro dove si canta, in Canzoni, un inno celestiale.
Meno frequenti ma fondamentali sono gli esterni. Negli esterni si svolgono cerimonie e si vede passare la storia. Rappresentazione della storia e cerimonie hanno un posto speciale, anche nel Piccione. Cerimonia e storia coincidono. Le cerimonie stabiliscono ritualmente che siamo dentro la storia. La storia per essere certificata come tale ha bisogno di celebrazioni e cerimonie. Le cerimonie e la storia sono di norma cruente e disumane e vengono riassunte in quadri di infinita tristezza, di sontuosa celebrazione delle sconfitte, del trionfo del male, della colpa, della malvagità. Davanti alle cerimonie e agli avvenimenti storici noi ridiamo orripilati dalla pochezza umana. In È successo qualcosa, il breve film sull’aids, si torna ai tempi del nazismo, c’è una vasca con blocchi di ghiaccio con dentro un uomo nudo nell’acqua gelida, un medico verifica le sue reazioni, sul fondo della vasca ci sono dei cadaveri. Il quadro che apre Mondo di gloria mostra uomini e donne nudi che salgono nel cassone di un camion, chiudono il portellone, attaccano un grosso tubo alla marmitta e a un buco del portellone, il camion diventa una camera a gas, uno dei presenti alla cerimonia nazista guarda verso di noi, il camion gira in circolo, i presenti al rito si portano via i vestiti dei morti. Nel quadro n. 31 delle Canzoni siamo, oggi, in una stazione ferroviaria, a un uomo è rimasto chiuso un dito nella porta del vagone, i presenti ricordano un loro incidente, uno parla con un amico morto suicida, si avvicina un giovane russo con un cappio al collo, cerca la sorella, nel quadro seguente i nazisti impiccano prima la ragazza, poi il ragazzo. Sempre in Canzoni, 4 quadri sono dedicati a un sacrificio umano, in una sala tutta specchi e stucchi si sceglie la bambina da immolare, in una cava si radunano vescovi con paramenti solenni e autorità in alte uniformi, una pedana sporge sull’abisso della cava, la piccola Anna viene spinta nel baratro da una donna-boia, al bar del Grand Hotel ritroviamo due partecipanti al rito, un orrendo vecchio in frac vomita disgustato sul bancone, un vescovo con mitria e pastorale si accascia su una poltrona: «Abbiamo sacrificato il fiore della gioventù. Cos’altro possiamo fare?».
Nel Piccione, fuori da un bar di oggi con larghi finestroni passano i soldati e i cavalieri del re svedese Carlo XII che va alla battaglia di Poltava, giugno 1709, il re entra nel bar con i suoi aiutanti a bere dell’acqua e riparte per la guerra da dove torna sconfitto. Ancora nel Piccione, in epoca coloniale, “negri e negre” vengono fatti entrare in un gigantesco cilindro di rame con piccole e grandi trombe, sotto il cilindro ruotante si accende il fuoco, dalle trombe esce un suono morbidamente orribile, vecchi notabili incartapecoriti con le signore assistono alla cottura. In questi quadri storici non c’è distanza tra l’oggi e l’allora. La storia è qui e noi che viviamo nell’adesso siamo corresponsabili della atrocità di allora. Di ogni allora. Siamo il passato. Siamo infelici e stupidi. Andersson ci vuole bene. È contento di sapere che qui stiamo tutti bene.