Yo-Yo Ma, violoncellista di origine cinese, nato a Parigi e residente negli USA, è certamente uno dei più grandi musicisti del nostro tempo, al quale hanno dedicato una puntata anche gli autori dei Simpson. La sua è una vita speciale già da bambino quando a sette anni si esibì alla Casa Bianca al cospetto del presidente Kennedy e della moglie Jacqueline, come testimoniano alcuni frammenti video in bianco e nero. Figlio d’arte del musicista e musicologo Hiao-Tsiun, il bimbo prodigio non si è smarrito col passare degli anni ma ha costruito una solida e affermata carriera che lo ha portato a collaborare anche con forme artistiche non propriamente musicali. Yo-Yo Ma è un uomo curioso che si è spinto fin nel Kalahari tra i boscimani per studiare le loro danze e melodie, e non smette mai di chiedersi quale sia il suo vero posto nel mondo. Egli è uno straordinario esemplare di meticciato culturale che a cavallo del 2000 ha cominciato a cercare delle risposte facendo qualcosa di davvero innovativo creando la Silk Road Ensemble. Un’orchestra composta da musicisti provenienti da ogni parte del globo che nello spirito si poneva l’obiettivo di riprodurre quella funzione di grande interconnessione tra i popoli che aveva l’antico cammino della Via della Seta.
Il documentario, diretto da Morgan Neville vincitore nel 2013 dell’Oscar con 20 Feet from Stardom, ha seguito Yo-Yo ma e i suoi colleghi musicisti per alcuni anni, raccontando con energia, ironia e una grande empatia per alcune vicende dolorose, il loro percorso di vita e musicale. La prima cosa che emerge è il grande affetto per Yo-Yo Ma da parte dei suoi colleghi e soprattutto del figlio che ci regala squarci umanissimi del privato del grande musicista. Il documentario si sofferma poi su alcuni elementi del gruppo dei quali racconta le vicissitudini personali con grande delicatezza. È il caso dell’iraniano Kayan Kalhor, maestro di kamancheh, antico strumento a corde iraniano, uno dei primi a collaborare con Yo-Yo Ma. La sua è una storia di dolore per la perdita della famiglia a causa di un missile che aveva distrutto la sua casa durante il conflitto tra Iran e Iraq e per l’ostracismo da parte del regime degli ayatollah che lo ha costretto all’esilio. Oltre a una giovane moglie lontana, la musica è l’unica medicina che riesce a lenire il suo dolore, circostanza che accade anche al clarinettista siriano Kinan Azmeh, che col suo compagno disegnatore si reca a intrattenere i giovani compatrioti in fuga dalla guerra civile, nei campi profughi in Giordania. Poi emergono le figure vibranti e non convenzionali di Cristina Pato, eclettica musicista galiziana che continua la tradizione della gaita, la cornamusa galiziana, e di Wu-Man, straordinaria virtuosa del liuto cinese.
Il film trasmette allo spettatore una straordinaria musica meticcia in cui si distinguono numerose matrici e coinvolgendo queste importanti individualità della musica mondiale, trova proprio nel mondo il suo set ideale. Concerti tenuti in ogni angolo del globo, nelle piazze o nelle sale da concerto, che comunicano al pubblico quell’utopia meravigliosa che parla di armonia e pace tra i popoli. Una missione che Yo-Yo Ma ha deciso di promuovere con dedizione, passione ed energia ancora più intense dopo l’attentato delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Il bello e l’incanto che trasudano dalle armonie della Silk Road Ensemble durante la visione del film, per novanta minuti ci sospende in un mondo perfetto dove la musica può difendere l’essere umano dall’annientamento di guerre e violenze attraverso la sua bellezza e ci fa credere che davvero questa utopia sia possibile.