Love/Hate (2010-2014) è una serie prodotta dalla tv irlandese RTÉ (acronimo di Raidió Teilifís Éireann). È composta da cinque stagioni, la prima di quattro puntate e le altre di sei. Lo showrunner è Stuart Carolan, già autore e sceneggiatore dell'Abbey Theatre di Dublino. La serie è inedita in Italia, al di fuori dell'Irlanda è stata trasmessa in chiaro solo nel Regno Unito ma i diritti sono recentemente stati acquistati dalla piattaforma Netflix. Si lavora da un paio d'anni a un remake statunitense scritto da Dennis Lehane (Mystic River, La legge della notte), ovviamente da ambientare a Boston. Sono stato indeciso se scegliere per questa relazione Love/Hate o la francese Braquo (2009-2016), la cui prima stagione, scritta da Olivier Marchal, rappresenta secondo me, ancora oggi, il meglio in fatto di crime drama. Ho optato per la produzione irlandese perché molto meno nota, e perché lo sviluppo drammaturgico attraverso le diverse stagioni è più omogeneo e coerente, mentre il poliziesco francese prodotto da Canal+ scade parecchio dalla terza stagione (su quattro in totale).
Love/Hate è una serie polifonica che racconta di una gang di spacciatori di droga dublinesi guidata dal boss John Boy (Aiden Gillen). Dalla prima alla terza stagione l'attenzione si concentra però su uno dei suoi affiliati più indipendenti, Darren (Robert Sheehan). È l'omicidio misterioso di suo fratello, nella prima puntata, a innescare gli eventi drammatici che porteranno all'implosione della gang, tra vendette incrociate e ricerca di nuovi, difficili equilibri criminali. John Boy viene ucciso al termine della seconda stagione, Darren – per mano dell'IRA – della terza. La scelta di Carolan di eliminare i due protagonisti è certamente audace ma anche causata da necessità esterne. Gillen, impegnato con la produzione di Il Trono di Spade (Game of Thrones, 2011-in corso), dove interpreta il personaggio di Littlefinger (Ditocorto), non si era reso disponibile a proseguire; Sheehan, dopo il successo personale nella britannica serie fantascientifica Misfits, era desideroso di costruirsi una carriera a Hollywood. Ci sono però anche motivi artistici. Sia Darren che John Boy risultano alla fine character scentrati, troppo poco incisivo il primo, esageratamente stilizzato e sopra le righe il secondo: fin da subito corpi estranei (Darren tra l'altro agisce quasi sempre in solitaria) rispetto all'assunto narrativo corale. Invece alla distanza, sulle cinque stagioni, a crescere maggiormente è il personaggio di Nidge (Tom Vaughan-Lawlor), il vice di John Boy destinato a prendere il suo posto nell'organizzazione. Ottimamente definito, Nidge ha molte sfumature. Entra in scena nella prima puntata seguendo on line un tutorial sul montaggio rapido di una Glock, a rimarcare la sua inesperienza. Resta grezzo e impulsivo, ma andando a comandare affina una certa intelligenza tattica, manovra su più tavoli come Jago, cerca compromessi senza mai abdicare al proprio ruolo di leader. Molto interessante anche la figura di Siobhán (si legge “Shevan”), moglie di Tommy (Killian Scott), il principale dei gregari, interpretata da Charlie Murphy: rappresenta bene una “comunità” di donne dei gangster perfettamente consapevoli dell'occupazione dei mariti, non sempre accondiscendenti e per nulla ipocritamente estranee come le italoamericane del clan dei Soprano.
Love/Hate è una serie derivativa e autarchica con elementi di originalità. Derivativa perché il modello è I Soprano (The Sopranos, 1999-2007), autarchica perché, come spesso per le serie non statunitensi, penso ad esempio alla britannica Peaky Blinders (2013-in corso) per restare ai crime, i budget di produzione sono più limitati (da qui anche il ricorso a un numero inferiore di puntate per stagione). Meno set, tendenza a spostarsi poco dall'epicentro dell'azione (Dublino, nel nostro caso), regia molto concentrata sui personaggi e le loro dinamiche relazionali, rare scene di massa, sequenze d'azione che coinvolgono spesso pochi personaggi e poche auto. Questo non vuol dire che da un punto di vista spettacolare la resa sia povera, anzi, spesso occorre aguzzare l'ingegno per costruire situazioni sceniche migliori e più efficaci. Si prenda ad esempio, nel primo episodio della terza stagione, l'efferato omicidio di Git, il capo dell'IRA che, ubriaco, ha stuprato Siobhán, risolto nello spazio angusto del retro di un pub, con una suspense crescente e la macchina da presa che scegliendo il punto di vista del moribondo (per terra con il collo spezzato, quindi dal basso) rende all'inizio tragica, poi grottesca, l'intera situazione. Un'esecuzione per strada stile Paulie Gualtieri sarebbe stata forse più clamorosa, ma certo meno ingegnosa.
Love/Hate sfrutta i cliché del genere. Ci sono tutti: il capo criminale in declino e quello emergente, l'elemento carismatico anarchico e i gregari più o meno fedeli, le donne dei gangster diversamente rappresentate, lo sbirro incorruttibile e l'infiltrato (interpretato da Kieran O'Reilly, ex poliziotto realmente impiegato in operazioni sotto copertura). Ma rispetto a tutte le altre realtà geopolitiche, l'Irlanda (e per estensione il Regno Unito) ha una particolarità unica, un “attore terzo” che contende allo Stato e all'organizzazione criminale il controllo del territorio. Parliamo ovviamente dell'IRA, esercito repubblicano irlandese, formazione paramilitare indipendentista attiva dal 1917 non solo nelle sei contee del nord amministrate dalla Gran Bretagna. La terza stagione di Love/Hate, la migliore, è tutta basata su questo difficile rapporto. Quella che Nidge chiama, storpiandone il nome, THE RA (l'inglese-irlandese non sempre è “oxfordiano” nella pronuncia, nel lessico e nella sintassi) detesta drogati e spacciatori ma ha bisogno della criminalità organizzata per rifornirsi di armi. Viceversa, l'underworld criminale teme la preparazione militare dell'organizzazione feniana, che infatti anche nel nostro caso darà filo da torcere ai gangster. Da notare come questo ruolo “terzo” dell'IRA sia presente anche in Peaky Blinders, benché ambientato su suolo inglese.
Infine, Love/Hate si dimostra eccellente laboratorio per una intera generazione di attori irlandesi, che difatti cominciamo a incrociare sempre più spesso anche in produzioni inglesi o statunitensi. Candidata all'Oscar 2017 per Loving (id., 2016) è ad esempio Ruth Negga, qui nella parte di Rosie Moynihan, la fidanzata di Darren molto presente nella prima stagione. Appartiene a una autentica “dinastia” Brian Gleeson, figlio di Brendan e fratello minore di Domhnall, qui parente psicopatico di John Boy. Peter Coonan, il mitico Fran, character tarantiniano inserito da Carolan dalla seconda stagione dopo avere capito che c'era bisogno di più “hate” e meno “love”, in Patria è diventato un'autentica star (come anche Killian Scott). Di grande talento è poi Barry Keoghan, classe 1992, che impressionò Carolan a un provino. L'ho rivisto in '71 (2014) di Yann Demange (come Charlie Murphy, Killian Scott e altri della serie) e, straordinario, in Mammal (2016) di Rebecca Daly insieme a Rachel Griffiths. Lo rivedremo tra i protagonisti di Dunkirk (2017) di Christopher Nolan nei panni del figlio cadetto di Mark Rylance.