CINEFORUM / 564

Non essere, essere

Come la Fenice del mito, Michèle e Maureen riprendono a vivere dalla loro cenere. Il trauma subìto non le ha annichilite, al contrario, ha risvegliato in loro la consapevolezza di un sé che non pare fiaccato dal colpo, non si dichiara vinto ma continua a battersi per ritrovare la propria forma. Non facciamoci trarre in inganno: l’espressione determinata, la sicurezza con cui compiono i gesti della quotidianità non sono il segno di una “identità” che non può venire meno. Questo, semplicemente, perché l’identità non è qualcosa di saldo che ci aderisce senza residui: piuttosto è un divenire, un transitare di stati incessante, perennemente in atto nello spazio che ci separa dagli altri, da tutto ciò che ci appare come altro. Pensiamo di esserne il soggetto ma lo siamo soltanto da un punto di vista logico-formale: soggetto dell’enunciato “io sono”. Ma ciò che “io sono” è il prodotto instabile di un andirivieni in cui l’invisibile e la morte acquistano un ruolo determinante quanto incontornabile. Lo è di sicuro per le nostre due sopravvissute. «Ci sei? O sono solo io?», «Io ti ho ucciso»: parlare con i morti, cercare conferme, rivendicare protagonismi; sostanziarsi in uno spazio che, per l’appunto, solo in quanto tale restituisce un immagine di sé.

Siamo tutti frantumati, dispersi negli schermi che si frappongono tra noi e quella che siamo ancora abituati a chiamare “realtà”: quelli dei cellulari, dei tablet, dei tv, dei monitor; sbriciolati in parole, sigle, abbreviazioni o “aumentati” dalla realtà fantasmatica in cui si sviluppano gli scenari e le trame dei videogames. Gli schermi esibiscono e nascondono, per definizione (vale anche per lo schermo cinematografico, naturalmente, in un gioco di rimandi potenzialmente senza fine): in questo spazio, anche in questo spazio, si struttura la nostra identità in continua ridefinizione. È così per noi, è così per Michèle e per Maureen: schermi come porte che il soggetto può varcare per incontrarsi senza riconoscersi, forse, oppure riconoscendosi come altro sé, come fuori-di-sé.

Ne va anche del genere, ovviamente. Il nome Michèle, variante vagamente maschile del ben più morbido Michelle, non può che sottolineare la duplicità di chi lo porta. Maureen, dal canto suo, vuole ritrovare il fratello gemello in una comunicazione che per realizzarsi sembra imporre il riassorbirsi delle due identità in una. La femminilità dei due personaggi ne risulta a prima vista perennemente in questione, per poi trovare però il modo di mostrarsi, in entrambi i casi, attraverso comportamenti inaccettabili (che forse per questo sembrano trasformarsi – direttamente o indirettamente – in inesorabili generatori di morte).

Elle e Personal Shopper ci parlano dei pericoli di un altrove che invece di respingere attrae; di una zona esterna in cui, dopotutto, da forsennati, vale la pena di abitare.