Un regista che gira per la Basilicata con il suo assistente, cercando le tracce dell’inquinamento provocato dal petrolio. Un anziano che ha lavorato tutta la vita come impiegato, ma che ha fatto anche l’attore grazie alla partecipazione giovanile a Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e che aspetta il suo riscatto, l’occasione per mostrare al mondo quanto vale. E un senatore del posto che si è arricchito con i proventi del petrolio, sotto la copertura di un’impresa agricola che produce uova.
Sono questi i protagonisti di Il Vangelo secondo Mattei, opera prima di Antonio Andrisani e Pascal Zullino, film indipendente che vuole essere una riflessione sulle trivellazioni del territorio lucano ma che è molto di più, in un’interessante mescolanza di generi. Dovuta anche alla provenienza dei registi, per Zullino attoriale (Maternity Blues, Isole, Suburra), per Andrisani più composita: graphic designer, ideatore di programmi e video satirici per la tv e la rete, musicista e scrittore. Entrambi di Matera. Da cui, appunto, la volontà di parlare del proprio territorio e di farlo in chiave semiseria, attraverso una commedia all’italiana interpretata da attori importanti. Che sono innanzitutto i due registi, nella parte di loro stessi; uno splendido Flavio Bucci, che abbiamo visto di recente anche in Agadah di Alberto Rondalli, in un ruolo (il vecchio attore) per certi versi autobiografico (o “autobiotragico”, come l’ha definito lui); Antonio Stornaiolo e Andrea Osvárt; e, dulcis in fundo, un cameo di Mimmo Calopresti, che nel 2001 aveva preso parte al documentario Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno, realizzato da Laura Betti e Paolo Costella; e il cameo d’eccezione di Enrique Irazoqui, il “Gesù di Pasolini” che parla al Gesù interpretato da Bucci. Perché, com’è evidente dal titolo, il film vuole essere una rivisitazione dell’opera pasoliniana nel mostrare un nuovo Gesù che vaga, però, in una terra resa “desolata” dalle trivellazioni a cui Mattei ha contribuito; e se parliamo di Mattei e di Pasolini non possiamo non ricordare Petrolio, il romanzo incompiuto dell’autore iniziato nel 1972 (l’anno di Il caso Mattei di Francesco Rosi) e pubblicato postumo nel 1992, in cui egli attribuisce la responsabilità della morte del presidente dell’ENI a Eugenio Cefis, suo successore e poi fondatore della Montedison.
Quindi un film di denuncia, il nostro; un film ambientalista ed ecologista, un film d’inchiesta, in alcuni momenti un thriller politico; con il taglio documentaristico del cinéma vérité, con tanto di persone “prese dalla strada” che pontificano sul petrolio e su altro. Virato però in chiave ironica e satirica, come le testimonianze di cui sopra che paiono siparietti di varietà, come ironici sono anche i riferimenti biblici e cristologici ispirati da Pasolini e le allusioni alla storia di Pinocchio; ironia e autoironia venate di sarcasmo e di cinismo com’è anche per i riferimenti al cinema dati dalla cornice metacinematografica (il “film nel film”), per cui il regista è un inetto e un profittatore, che arriva a sfruttare per sé la situazione che era in procinto di condannare, e il cinema è una fabbrica di illusioni e di sogni di gloria destinati a infrangersi contro la realtà. L’unico personaggio “puro” è quello interpretato da Bucci, ma finirà solo in una casa di riposo, a denunciare i soldi sporchi ottenuti con il petrolio davanti ai suoi compagni (perché prima nessuno l’ha voluto sentire), riconosciuto come Cristo da un bambino, in un finale dal sapore pirandelliano. Il tono disincantato del film, poi, può indurre a mettere in secondo piano la denuncia e a guardare l’opera da un altro punto di vista, quello filosofico-esistenziale, perché anche sull’uomo e sui suoi meccanismi, in primis sul suo rapporto con il potere, possiamo ricavare dall’opera interessanti insegnamenti.