L’aspetto che caratterizza più profondamente e trasversalmente il cinema di Bernardo Bertolucci è forse la ricerca di una dialettica fluida e senza soluzione tra Storia e Mito, quindi tra la sfera temporale e quella in cui il tempo, viene per così dire, sospeso dilatandosi a un valore indeterminato e di conseguenza universale; senza per questo rinunciare ad affondare le sue radici nella concretezza della determinazione fattuale. Esemplare è a questo proposito il piano in travelling che chiude La strategia del ragno sul dettaglio dei binari che scompaiono nell’erba sempre più incolta, a sottolineare il cortocircuito passato/presente fino alla dissoluzione cronologica insieme a quella geografica – quest’ultima già anticipata, del resto, nell’onomastica cine-mitologica (Tara) del luogo in cui si è svolta la vicenda narrata dal film. È in questa dialettica che risiede il nucleo di fusione da cui si sprigiona l’energia estetica e narrativa della messinscena bertolucciana per andare a innervare le altre componenti che la caratterizzano: il rapporto reciprocamente influenzabile tra narrazione e rappresentazione; quello, in molte occasioni incontornabile, tra le due istanze – mimetica e rituale – da cui si genera la peculiarità inimitabile del suo “tocco”; un’idea di cinema personalissima fluttuante tra composizione visiva/visionaria dell’immagine tout court e l’esplicitazione dei riferimenti culturali in cui questa affonda le sue radici.
Se una tale esplicitazione a volte può risultare accentuata al punto da diventare pericolosamente incongrua rispetto alla specificità già densa del discorso filmico in sé, è anche vero che non può essere cancellata senza mutilare il corpo in cui prende forma l’invenzione dell’autore e la riconoscibilità del suo linguaggio. Ne deriva che affrontare una lettura del cinema di Bernardo Bertolucci conduce su percorsi tanto intricati quanto ricchi di occasioni, luoghi di sosta e di osservazione, facilitanti la moltiplicazione dei punti di vista e dunque l’angolazione delle considerazioni che ne possono derivare.
Abbiamo scelto perciò di dedicargli, in questo numero, uno “speciale” a struttura corale, curato da Roberto Manassero, con la partecipazione di collaboratori storici e di acquisizione più recente, organici o più saltuari: ognuno ha scelto un film per poterne scrivere e in questo modo mostrare anche il proprio sguardo sull’autore. Ci è sembrato l’approccio più adeguato per trasformare ciò che avrebbe potuto diventare un omaggio facile e scontato nell’occasione di proporre ai lettori di «Cineforum» una molteplicità di suggerimenti e di indicazioni, sulla base dei quali essi possano poi fondare o verificare le proprie convinzioni, letture o riletture di un corpus tanto vario e sfaccettato.