Richiama alla mente una moderna e sperimentale rivisitazione della fiaba di Cenerentola, The Bra. Se nel celebre classico dei fratelli Grimm, infatti, il principe azzurro utilizzava la scarpetta persa dalla bella giovane allo scoccare della mezzanotte, come mezzo per riuscire a ritrovare quello che sarebbe poi stato l’amore della sua vita, qui, nel film di Veit Helmer, l’oggetto “rivelatore” è, in una chiave molto più scanzonata e attuale, un reggiseno – non a caso – ceruleo. Solo colei che, nel piccolo villaggio di Baku, in Azerbaigian, calzerà a pennello l’indumento intimo, allora, potrà combaciare definitivamente all’immagine di donna platonica – nel senso più proprio del termine, inteso come perfetta in quanto idea – che il tramviere Nurlan (Predrag Manojlovic) insegue. Da quando infatti, in uno dei suoi ultimi viaggi di lavoro pre pensionamento, l’uomo ha accidentalmente trascinato con sé, passando per la stretta via/rotaia che attraversa Baku, della biancheria stesa ad asciugare (tra cui il reggipetto in questione), le sue giornate hanno assunto come solo obiettivo il ritrovare la proprietaria dell’oggetto. Una donna più vicina a un sogno che a un ricordo; una donna che ha visto spogliarsi, dietro una finestra; una chimera che, in quanto tale, è solamente la scusa di un viaggio e una ricerca che riempia la vita.
Proprio come in una fiaba, allora, ben presto, quel reggiseno azzurro, che per l’uomo è diventato lo stimolo a rispondere al vuoto che la perdita del lavoro ha lasciato dietro di sé, si trasforma, per le donne del paese, inspiegabilmente, in un bene necessario, bramato e desiderato senza ritegno. Non vi è una sola di loro, infatti, che non lo desideri, che non senta il bisogno di indossarlo, che non si pieghi a falsità, astuzie, giochi di seduzione, danze e prove delle proprie doti culinarie per averlo. È del resto qui, tra i più sgangherati tentativi d’esser degne di quel capo d’abbigliamento, che brillano le note più comiche di The Bra. Nel complesso un film silenzioso, lento e votato alla ricerca del poetico e del delicato – lo testimoniano quei campi lunghi in cui il treno taglia il paesaggio azerbaigiano o le ragazze inseguono le oche, così come il declinare in musica ogni reiterazione di rumore meccanico –, in questi momenti il lungometraggio si abbandona invece piuttosto a un tono quasi grottesco.
Momenti ironici, del resto non poco supportati dalla scelta, tanto sperimentale quanto efficace, alla base dell’intero film, di ridurre a zero i dialoghi. Nessuno parla, in The Bra, e ogni interazione umana si riduce a un’espressione gestuale, primitiva, fatta di movimenti, sguardi e versi, come primitiva è, del resto, la stessa ricerca di Nurlan su cui l’intera vicenda ruota: la ricerca di un affetto, di un ancestrale riconoscimento nell’altro, di uno scopo nella vita. Una ricerca che andrà, sulla scia più dolce di una commedia ancora una volta prossima alla fiaba, allora, a buon fine, benché non là dove si sarebbe in un primo momento creduto. Non trova una chiusa romantica, questo piccolo ma a suo modo prezioso film, nonostante il richiamo forte a Cenerentola. Perché a volte il destino, sembra chiosare, ti fa cercare per lungo tempo qualcosa che è sempre stato davanti ai tuoi occhi, e nel frattempo ti spinge lontano, lungo una via diversa, lungo una differente forma d’amore.