Cosa può raccontare ancora il cinema dopo che il mondo si è visto costretto a vivere per mesi uno scenario da fantascienza? Ha senso parlare ancora di normalità, di amore, avventura, amicizia, drammi sentimentali, e portare sullo schermo quei baci e quegli abbracci che rischiano di creare uno scarto profondo tra lo spettatore e lo schermo? E se il cinema non fosse più in grado di tradurre la realtà, avrebbe senso continuare a produrre, girare e guardare film?
Diários de Otsoga di Maureen Fazendeiro e Miguel Gomes inizia dalla fine e lo fa con una festa: una situazione di assoluta normalità in cui tre ragazzi – Crista, Carloto and João – ballano, bevono, si baciano e si divertono. È il ventiduesimo giorno di questo diario cinematografico ripercorso a ritroso, il racconto della vita di tre amici che abitano in una casa di campagna e passano le giornate nel giardino a costruire una serra per le farfalle. Con l’indietreggiare dei giorni, però, la situazione di pace e tranquillità si fa esponenzialmente sempre più surreale: la realtà entra nella finzione, la narrazione si fa backstage e la messa in scena di un idillio si trasforma nella testimonianza diretta di un set dove dubbi e incertezze predominano su tutto.
Man mano che i giorni si riavvolgono per tornare a inizio riprese, entrano in campo i vari membri della troupe e, con loro, le discussioni su come portare avanti la propria mansione sottostando alle nuove regole imposte dalla pandemia. Gli attori discutono su quali scene sia il caso di girare o meno, i reparti tecnici su come allestire il set e i registi sul soggetto e il senso del film. Se nelle prime “pagine” del diario si è portati a pensare che Fazendeiro e Gomes stiano filmando le giornate per decostruire la finzione narrativa e arrivare alla realtà, con il passare dei minuti ci si accorge che la loro idea è diametralmente opposta: più ci si avvicina al reale, più l’atmosfera sul set diventa paradossalmente illeggibile e disorientante. Se quindi la quotidianità è diventata così assurdamente vicina alla finzione, ogni tentativo di mettere in scena la normalità perde di significato.
Perché si dovrebbe quindi girare un film durante un periodo storico così assurdo? Forse la risposta sta proprio nella festa su cui si apre Diários de Otsoga: il cinema stesso, di questi tempi, dovrebbe essere una festa; dovrebbe offrire un pretesto per crea qualcosa insieme, per uscire di casa e condividere idee e sensazioni. Solo così il cinema trova un senso e girare un film può aiutare a ristabilire un ordine e una normalità altrimenti impossibili. E anche andare al cinema e partecipare al rito collettivo della visione diventano gesti capaci di conferire valore salvifico al cinema.
Se Maureen Fazendeiro e Miguel Gomes sono convinti che il cinema possa effettivamente essere (oggi più che mai) una bolla protettiva dal mondo, non saremo di certo noi a dar loro torto.