Concorso

"Le meraviglie"

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E’ sottile il confine tra lirismo e banalità, ci si mette un attimo ad attraversarlo. Soprattutto quando ci si aggrappa alle memorie del tempo perduto, ai ricordi d’infanzia, come fa Alice Rohrwacher in Le meraviglie.

Un borgo sperduto dell’Umbria, un padre collerico che impone alle tante donne della sua vita (quattro figlie, una moglie) uno stile di vita francescano e bucolico, dove ci si guadagna da vivere facendo il miele e pascolando le capre. In un ambiente del genere, ad essere coltivate come si deve possono essere solo le tentazioni: fuga e modernità, indipendenza e benessere.

Nella fattispecie queste prendono la forma da una parte di un gioco a premi televisivo che darà ricchezza e celebrità alla famiglia capace di incarnare lo stereotipo della comunità rurale, dall’altra di un ragazzino sbandato che gli assistenti sociali affidano all’apicoltore, nella speranza che le rudezze della vita agreste lo possano riportare sulla retta via.  

Nella prima metà del film si delineano quindi diverse traiettorie narrative: la difficoltà del rapporto fra la figlia maggiore e il padre-padrone, il conflitto fra la naturalezza della vita rurale e l’artificialità corruttrice della tv, la dirompenza potenziale di un corpo estraneo, quello di un adolescente maschio, in una comunità di giovani donne. 

Ma è proprio li’, sul più bello, che il film deraglia e comincia a girare a vuoto. Le meraviglie sarà anche una fiaba, come l’ha definito la regista, ma al cinema la svagatezza si paga cara, se non si ha un’immaginazione abbastanza forte da reggerla sul piano poetico. Come sanno bene i bambini, che quando le racconti ti riempiono di domande, le fiabe vogliono precisione, mentre nel film tutto diventa approssimativo, inverosimile, frettoloso.

Alice (un nome che, parlando di fiabe, dovrebbe essere un destino…) corre verso la conclusione inanellando luoghi comuni (sul kitsch televisivo), lirismi di grana grossa (le ombre dei ragazzi addormentati che danzano sulle pareti della grotta), un epilogo conciliante ma incongruo come un cammello nelle campagne umbre. Ricca e povera al tempo stesso, l’infanzia di Alice Rohrwacher meriterebbe un cinema più solido, innanzitutto sul piano della scrittura.