Danny Boyle

28 anni dopo

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Durante gli opprimenti mesi del lockdown, 28 giorni dopo era sembrato la profezia inascoltata che aveva ridotto Trainspotting a pura ricreazione adolescenziale. 28 anni dopo, 23 anni dopo, non è più fantascienza distopica ma precisa metafora di una Gran Bretagna sempre più isolata anche politicamente, oltre che eticamente e umanamente. Un po’ racconto di formazione, un po’ viaggio dell’eroe, un po’ survival movie, un po’ serial, Danny Boyle e Alex Garland hanno costruito un apologo sulla contemporaneità, suggerendo con una punta di beffarda ironia che, forse, l’horror del primo episodio è diventato nel frattempo ancora più inquietante.

I sopravvissuti di ciò che successe 28 anni prima vivono ormai in un’isola difesa da un fortino nel nord dell’Inghilterra. La terraferma, collegata da un terrapieno attraversabile solo durante la bassa marea, è dove si annida il pericolo, incarnato essenzialmente dai pachidermici bassi-lenti (Slow-Low), creature viscide ed enormi che strisciano lentamente cibandosi di vermi, e dai più temibili Alpha, dinamici, resistenti e instancabili diffusori del virus della rabbia. Boyle e Garland utilizzano il genere come grimaldello politico, inserendovi sulla base imprescindibile di tensione e paura (all’epoca ancora ipotetica) della prima epidemia i riferimenti di un mutamento in corso che nelle conseguenze del lockdown e nella Brexit hanno avuto i loro apici traumatici.

Ma 28 anni dopo non è certo un film che lavora sulla moderazione e sulla linearità. La sua ovvia ed evidente regola è la dismisura, l’eccesso, la sinusoide emotiva, lo sforzo di sciogliere tutta la densa tensione che si viene opportunamente a creare sullo spiazzamento delle attese del pubblico. Un’impressione (solo un’impressione) di slabbramento che è soltanto assoluta libertà compositiva, volontà di non adagiarsi nell’ampio margine delle consuetudini del genere e anche deliberata scelta di infarcire il racconto di elementi e presenze che saranno sviluppati successivamente, anche oltre il termine del lavoro attuale, se è vero – com’è vero –  che 28 anni dopo è solo il primo episodio di una nuova trilogia di cui è già stato annunciato il secondo titolo, The Bone Temple.

Estremi e ribaltamento, sono questi i due principi regolatori di ogni aspetto del film. A partire dalla metafora soggiacente, a causa della quale, in un capovolgimento – appunto – in cui sono i protagonisti, i presunti buoni, quelli con cui il pubblico si identifica, a essere isolati per via del pericolo dal resto del mondo (leggi Europa). Scelta apparentemente piuttosto disorientante, ma solo se la si rapporta in funzione di un pubblico progressista ed europeo, non in una prospettiva anglocentrica critica e tendenzialmente amareggiata, come quella di Boyle e Garland. Gli estremi si toccano e il ribaltamento capovolge equilibri che paiono assodati, malgrado il caos della situazione in cui la vicenda è ambientata. La sceneggiatura è infatti libera, predisposta all’evento, all’incontro talvolta improbabile (un dottore matto dalla grande sensibilità – interpretato da Ralph Fiennes), ingiustificato (un soldato svedese), probabilmente pronto a essere sfruttato nel prossimo episodio (un neonato che sa di simbolo positivo benché rimanga potenzialmente rischioso), ma comunque abilmente costruita nella capacità di mungere ogni singolo episodio in tutta la tensione che ne può scaturire.

Lo sviluppo che ci si attende dà spesso vita a qualcos’altro di radicalmente diverso, oppure semplicemente non è. Un viaggio per la guarigione può rivelarsi solo un accompagnamento verso la cruda realtà delle cose ultime, oppure una guida familiare può essere improvvisamente vittima di un’uccisione simbolica. È la logica dei Teletubbies, i noti personaggi televisivi utilizzati come perturbante controcanto infantile nella sconcertante scena iniziale, così come il lancio di frecce di quello che è un nuovo oscuro medioevo si lega alla storia britannica tramite le armate di Enrico V viste in modo totalmente gratuito nella versione di Laurence Olivier del 1944. Perché altrettanto libero ed estremo è lo stile di cui si serve Boyle, a suo modo evoluto in funzione della tecnologia utilizzata per assecondarne la visione apocalittica: la livida patina digitale del 2002 nel 2025 diventa un rimpallo continuo tra gli iPhone 15 Pro Max e i droni che spettacolarizzano la violenza sanguinolenta e lo scenario del nord dell’Inghilterra, filtrato anche dall’esorbitante formato 2,76: 1 dello schermo. Per quanto possibile, Boyle punta all’immediatezza, alla spontaneità, più che alla bella immagine, anche se poi, grazie al suo mestiere, le inquadrature sono inappuntabili, in certi casi epiche e magniloquenti, anche quando cerca di “sporcarle” per renderle più pulsanti e sofferte.

Boyle possiede un’innata qualità visionaria che pur mutando nell’evoluzione del suo stile resta pressoché intatta nell’ingegnosità, ed è uno dei motivi per cui 28 anni dopo è un film che riserva una rivelazione dietro l’altra, al di là di quella biblica che compare ad un certo punto in un graffito sul muro di una casa diroccata e che funge da esca per la scena finale del film e come anticipazione del secondo episodio in preparazione. Il sentiero sommerso che conduce alla terraferma o, in modo ancora più evidente, il sacrario funebre del dottor Kelson, un’invenzione a metà tra il memoriale della Shoah e il cimitero delle Fontanelle di Napoli (oppure, a scelta, la Cripta dei Frati Cappuccini a Roma o la chiesa di San Bernardino alle ossa a Milano), sono il degno corollario scenografico di un film che tonifica gli occhi e stimola costantemente la tensione narrativa ben al di là delle consuete dinamiche del genere di appartenenza.


 

28 anni dopo
Gran Bretagna, Stati Uniti, 2025, 115'
Titolo originale:
28 Years Later
Regia:
Danny Boyle
Sceneggiatura:
Alex Garland
Fotografia:
Anthony Dod Mantle
Montaggio:
Jon Harris
Musica:
Young Fathers
Cast:
Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O'Connell, Ralph Fiennes, Alfie Williams, Emma Laird, Erin Kellyman, Edvin Ryding, Christopher Fulford
Produzione:
Sony Pictures
Distribuzione:
Eagle Pictures

Sono passati quasi tre decenni da quando il virus della rabbia è fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche e ora alcuni sono riusciti a sopravvivere in mezzo agli infetti. Su una piccola isola vive un gruppo di sopravvissuti e uno di loro, partito per una missione sulla terraferma, scoprirà segreti, meraviglie e orrori...

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