Paola Cortellesi

C'è ancora domani

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A tre settimane dall’uscita di C’è ancora domani e con un incasso (al momento) di quasi 14 milioni di euro, è ormai chiaro come la scommessa di Paola Cortellesi di imporsi come nuova autrice del cinema italiano (in questo caso, regista, co-sceneggiatrice e interprete) è pienamente vinta. Una scommessa, del resto, cucita sulla sua figura di donna di spettacolo da anni al centro della scena, comica televisiva geniale e interprete per il cinema credibile anche in ruoli non necessariamente divertenti.

Il successo senza precedenti di C’è ancora domani è figlio proprio del lavoro della Cortellesi sulla sua immagine riconosciuta e riconoscibile, tra il corpo esibito della star (che nel film dialoga con lo spettatore in primi piani insistiti, mezze battute in romanesco a mo’ di commento a latere, battute e tempi di reazione da sketch) e il ruolo della protagonista Delia, moglie, madre e lavoratrice nell’Italia del 1946 che diventa emblema della subalternità politica, sociale e anche fisica di intere generazioni di donne.

Vera icona di casa nostra, in C’è ancora domani Paola Cortellesi è camuffata e insieme onnipresente, fuori da una Storia ricostruita come immaginario (il bianco e nero del neorealismo, che funziona come un retaggio culturale a cui ogni italiano appartiene) e dentro un tempo che cerca la decontestualizzazione (le canzoni pop, le botte del marito Valerio Mastandrea messe in scena come un balletto…) per affermare la propria attualità.

Con il suo richiamo immediato a precise istantanee del neorealismo (le donne che osservano rabbiose il rastrellamento tedesco in Roma città aperta, la risolutezza di Maria Ricci quando sacrifica le lenzuola in Ladri di biciclette, le lavoratrici ammassate sulla scala traballante in Roma: ore 11…) e sottotraccia con i suoi rimandi ai desideri repressi dei melodrammi di Matarazzo, C’è ancora domani ha evidentemente risposto a un bisogno collettivo di riconoscersi in un passato italiano comune, tra i “fatti” (come diceva Bazin) delle immagini di Rossellini rievocate e l’astrazione a cui conduce il loro ricordo o il loro racconto.

L’Italia del film, anche nel suo gretto e violento autoritarismo patriarcale (o anzi, proprio in virtù di esso, come necessità di reagire ed emanciparsi), è un luogo dell’anima. Da lì, da quel posto inesistente, nasce il “domani” della Cortellesi, che nel momento in cui non rinuncia a uno dei vizi peggiori del cinema italiano (quello di far nascere il titolo del film da una battuta recitata verso il finale: un’altra forma di riconoscimento, una ricostruzione del senso generale che agisce a ritroso) toglie la vicenda della povera Delia – che ogni giorno esce di casa per compiere mille lavoretti e mettere il cibo in tavola, salvo poi prendere comunque un sacco di legnate, mentre si sacrifica per salvare la figlia ventenne dal suo medesimo destino – dalla trama già scritta della sua vita per proiettarla in una dimensione astorica.

Nella svolta finale del film, che arriva senza essere preceduta da alcuna battuta, come uno strumento narrativo pretestuoso, non c’è infatti alcuna revisione del ruolo delle donne nella storia della democrazia italiana, ma al contrario una speranza; un monito per il futuro. La stessa scelta di fare delle elezioni del 1946, le prime a cui le donne poterono partecipare, il vero innesco dell’emancipazione di Delia è fuori anche dal nostro presente, in cui al contrario il diritto di voto è considerato una conquista ormai inefficace. La soluzione ai bisogni e ai diritti soffocati di Delia (e la risposta a un sacrificio che per una volta non si fa rinuncia, come nel melodramma, ma azione e scelta) proviene sì da un passato documentato, ma agisce in una realtà inesistente, popolata di sole immagini.

C’è ancora domani annulla il tempo e usa lo spazio di Roma, le sue coorti chiuse a mo’ di quinta teatrale (un po’ come il Garrone di Reality, con più talento ma meno fortuna), come un palcoscenico: uno spazio artificioso sul quale, da italiani, siamo saliti tutti, e dentro il quale la Delia di Cortellesi si trasforma - pretestuosamente? - nella madre di tutte le donne di domani.


 

C'è ancora domani
Italia, 2023, 118'
Titolo originale:
id.
Regia:
Paola Cortellesi
Sceneggiatura:
Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi
Fotografia:
Davide Leone
Montaggio:
Valentina Mariani
Musica:
Lele Marchitelli
Cast:
Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni, Francesco Centorame, Raffaele Vannoli, Paola Tiziana Cruciani
Produzione:
Wildside, Vision Distribution
Distribuzione:
Vision Distribution

Roma, metà anni 40, nell'immediato dopoguerra. Delia è la moglie di Ivano (di cui subisce i maltrattamenti) e la madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono. Nonostante le difficoltà economiche, la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella che spera di sposarsi in fretta con Giulio, un bravo ragazzo di ceto borghese. Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.

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