Iair Said

La domenica muoiono più persone

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David (Iair Said) è un giovane uomo argentino, gay, sovrappeso, un corpo e un’indole che non rientrano nel canone, nella tipizzazione “egemonica” dei film a tematica, non atletico o palestrato, non immediatamente simpatico. Da un anno studia in Italia, ma lo spettatore lo capisce solo dalla seconda scena, dopo che il compagno lo ha lasciato durante un’ultima vacanza d’addio e lui arranca su una spiaggia trascinando un trolley e brandendo uno spazzolino che scopriremo essere dell’altro, sottratto come compensazione feticista alla fine di una relazione che non ha funzionato.

Lo vediamo poco dopo in aeroporto prendere una doppia dose di sonnifero per superare la paura di volare, poi accasciato in attesa, poi a discutere col personale di terra: deve tornare a Buenos Aires per il funerale di uno zio, o forse semplicemente perché anche questa parentesi italiana, come tante cose nella sua vita, non è andata come avrebbe voluto, ammesso che ci fosse di mezzo una volontà. Andando con la sorella Elisa (Juliana Gattas) verso il cimitero gli scappa detto “ho l’impressione che la domenica muoiano più persone”, e lei gli dice che può anche darsi, ma che lo zio è morto il giovedì, il funerale è stato ritardato per lo Shabbat, perché “in pratica con gli ebrei succede così”, chiosa, come se fosse qualcosa che li riguarda solo marginalmente. Si capisce invece di lì a poco che in realtà la loro è una famiglia di fede ebraica, certamente non ortodossa, ma sotto molti aspetti osservante, e che lo zio era un membro partecipe della comunità, come rimarca la zia Silvia (Antonia Zeghers), che sottolineerà altrettanto come quella comunità le faccia pagare uno sproposito il funerale e la sepoltura. Parlare di una statistica ridicola, come quella a cui fa riferimento il titolo, come parlare di soldi, continuamente, per non affrontare direttamente la perdita di un congiunto, è un tema che torna, perché le preoccupazioni materiali, come ha precisato Iair Said parlando della genesi del progetto (e fa ripetere ai protagonisti nella scena finale), rimangono in capo ai vivi.

David è colto da un dubbio: non riesce a togliersi l’idea che il saluto allo zio sia stato interpretato dagli altri come una prova generale di quello che lo attende: suo padre infatti è in coma da un anno, non dà alcun segno di miglioramento, e il giovane sta per scoprire che sua madre, Dora (Rita Cortese), è ormai determinata a far staccare il respiratore. Ma David sembra far di tutto per non affrontare l’incontro con quella realtà: deve andare dal dentista, prendere lezioni di guida, “fare altro”, un palinsesto di azioni lasciate a metà e persone da vedere nel quale significativamente manca una qualsiasi figura che si approssimi all’analista; e anche quando sembra prendere del tempo per cercare di capire il senso del gesto progettato dalla madre documentandosi in rete, gli è più facile surfare su un sito porno e scansare per qualche minuto il pensiero, finché può.

Classificare il primo lungometraggio di finzione di Iair Said esclusivamente come una commedia rischia di penalizzarlo, perlomeno se dal genere commedia lo spettatore pretende situazioni frizzanti e scambi verbali brillanti, e magari l’autoironia di un protagonista che padroneggi i Witz della tradizione ebraica. Non è questo, La domenica muoiono + persone, e però non è propriamente nemmeno ascrivibile al macrogenere del dramma, anche solo per il fatto che nessuno dei tanti piccoli incidenti che accadono esce dall’ordinarietà del quotidiano; forse si tratta di uno dei casi a cui il termine tragicommedia calza con giustezza.

E lo fa proprio fondandosi su un senso dell’ironia “a bassa intensità”, che tocca qua e là picchi di aperto sarcasmo, utilizzata in senso freudiano come meccanismo di aperto aggiramento delle censure e dei tabù, e ovviamente come confronto del protagonista David con la tragica finitezza dell’esistenza, con la fragilità dei legami, con la conclusione delle relazioni, con la “fine del mondo” come lo si è dato per scontato, del nucleo famigliare in cui si è cresciuti e dal quale si è stati determinati.

Per questo la scena con cui il film si apre, lamentosa, spiazzante, per certi versi apertamente sgradevole (al punto che i produttori avevano sconsigliato a Said di avviare in quel modo il racconto), è paradigmatica di tutta la serie di rapporti che finiscono, della paura del vuoto e della solitudine che David prova, e che vede, speculare e inafferrabile, nella serena accettazione della madre. Il giovane non viene lasciato solamente dal compagno (che peraltro non vediamo mai), il suo terrore è quello di essere lasciato dal padre, e prima o poi dalla madre stessa, e, come da copione, lo slancio erotico non consumato si fa goffo esorcismo di quel vuoto che suona come una tremenda condanna, e la richiesta (al compagno) di un ultimo rapporto diventa retrospettivamente un aggiramento appunto ironico del tabù dell’incesto.

In realtà la chiave ironica della scrittura e della messinscena di Said si basa su quella che si potrebbe definire reticenza sistemica (o sistematica): abbiamo da subito la centralità del corpo “non performante” di David/Iair, e abbastanza presto assistiamo a sguardi e commenti che vorrebbero definirlo senza essere in grado di coglierlo: un “ti trovo sciupato”, al quale risponde “no, sono obeso”, posizioni rovesciate dopo poco da un “sei ingrassato ancora”; un corpo refrattario, reticente appunto, che è fisicamente lì ma che pare spesso altrove, costantemente teso a parlare di altro, e allo stesso tempo non in sincronia con l’altro, incapace di leggerlo, di arginare la compulsione goffissima all’avance malriposta, di dare una forma accettabile al desiderio legittimo di essere desiderato. Non a caso, quando imprevedibilmente diventa oggetto delle attenzioni di un ragazzo, declina cortesemente. E di lì a poco avviene l’incidente che, ironia della sorte e delle assicurazioni sulla salute, lo porta a rivedere il padre, e a confrontarsi con la madre, un personaggio meravigliosamente costruito “in levare”, pragmatica e di poche parole, però risolutive, che gli somiglia più di quanto sia disposto ad ammettere, anche solo per quella necessità di spruzzare il profumo di papà per sentirlo ancora presente.

È presto per dire se Iair Said sia un autore, sicuramente ha uno sguardo preciso, innanzitutto su di sé, un’idea di come mettersi in scena: se da un lato fino ad ora il suo titolo più noto era il  documentario familiare Flora no es un canto a la vida, con cui nel 2019 vinse il premio per il miglior documentario argentino (un film sulla sua prozia Flora che a 90 anni pianificava la propria dipartita, nel quale lui non nascondeva ironicamente le sue mire sul di lei appartamento), nei due cortometraggi 9 vacunas (2013) e Presente imperfecto (2015) sono presenti per molti versi gli stessi elementi di costruzione dei protagonisti, sempre interpretati da Said stesso, incapace di leggere l’altro e malinconicamente predisposto al rifiuto nel primo, riluttante nel secondo a farsi interpretare dagli amici, a farsi definire da un regalo, “presente” – in spagnolo argentino come in italiano–, termine che nel titolo fa riferimento in maniera esplicita a un tempo verbale inesistente. Un gioco di parole che si estende anche a La domenica muoiono più persone, dove il tempo presente di David è un presente imperfetto, vissuto male o non vissuto, che può suscitare un sorriso, un moto di fastidio o di empatia, ma è difficile che lasci lo spettatore indifferente, perché da quel tempo imperfetto, bene o male, ci siamo passati o ci passeremo tutti.


 

 

 

 

 

 

La domenica muoiono più persone
Argentina, Italia, Svizzera, 2024, 85'
Titolo originale:
Los domingos mueren más personas
Regia:
Iair Said
Sceneggiatura:
Iair Said
Fotografia:
Giovanni Cimarosti
Montaggio:
Flor Efrón
Cast:
Iair Said, Antonia Zegers, Rita Cortese, Juliana Gattas
Produzione:
Campo Cine, Patagonik Film Group, Dispàrte, Nephillim Producciones
Distribuzione:
Fandango

Oscillando tra passato e presente, David, di ritorno in Argentina, riallaccerà i rapporti con sua madre e la sua famiglia, vagando attraverso Buenos Aires per placare la sua ansia generazionale.

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