(Estratto)
Cinema a dismisura d'uomo
Esiste una relazione etimologica tra “coppola” e cupola”, che giustifica la correlazione tra l’onomastica, che rimanda al copricapo siciliano e al massimo rango della gerarchia mafiosa. L’aver da subito preso in carica l’implacabile cupio dissolvi dei Corleone, ne Il padrino, Il padrino parte II e Il padrino parte III, non sorprende nell’ex sceneggiatore chiave, premiato con l’Oscar assieme a Edmund H. North, di Patton, generale d’acciaio, quindi al servizio del suo primo megalomane in divisa statunitense. La guerra è certamente la situazione estrema dove la maniacalità coniugata alla grandezza genera conseguenze apocalittiche, che solo negli anni 70 scatena figure storiche e immaginarie, senza soluzione di continuità, da Il padrino e Il padrino parte II ad Apocalypse Now: lo sfrenato superufficiale George S. Patton, il reduce Michael Corleone pronto a guidare dopo l’esperienza bellica l’ascesa gelida dei Corleone; quindi, passando di mano il testimone dalla Seconda guerra mondiale al Vietnam, il giro di vite porta diritto al colonnello Walter Kurtz, che si autoinveste del mandato di costruire un esercito nell’esercito e una guerra personale nella guerra collettiva, esattamente come il suo equivalente non meno delirante Kilgore che scambia la linea del fronte con le onde adatte alle tavola da surf, il profumo della vittoria con l’olezzo distruttivo del napalm, il Sud-Est asiatico con il selvaggio West e lo stormo degli elicotteri con le wagneriane Valchirie a cavallo.
In Coppola il megalomane è, a seconda delle circostanze, il soggetto “marginale” per definizione (giustificando gli originali The Outsiders e Rumble Fish, ovvero “pesce rombo/combattente”, piuttosto degli italici I ragazzi della 56ª strada e Rusty il selvaggio), che deve di necessità sudare per conseguire orizzonti dorati e irraggiungibili, fino ad annientarsi. È giocoforza in questa dinamica del tutto per tutto che il nuovo arrivato compia sforzi sovrumani, riuscendo o fallendo clamorosamente, pur di mettere in discussione la leadership del capo/padre tradizionale, del cartello stabilito dai potenti a vario titolo o dai clan reggenti, poco importa se dentro le istituzioni o fuori dai confini legali e quindi nella metà campo criminale, nella compagine mafiosa o in quelle delle case automobilistiche tanto quanto nell’apocalittica ipotesi degli occupanti nazisti di distruggere l’intera capitale francese per impedirne l’occupazione nemica, (da Parigi brucia?, all’epoca del Coppola solo sceneggiatore, al successivo turno di regista e produttore con Il padrino, Il padrino parte II, Il padrino parte III, Cotton Club, Tucker – Un uomo e il suo sogno). La megalomania è però reciproca e può risultare una prerogativa anche della controparte, cioè far capolino in coloro che, in posizione di privilegio con manovre occulte o palesi, dentro le maglie ambivalenti del modello capitalistico che Coppola cerca di battere misurandosi sullo stesso terreno, non possono assolutamente farsi detronizzare (i grandi vecchi che non mollano ne Il padrino parte II e Il padrino parte III, la multinazionale che scatena un intero studio legale di professionisti contro il giovane avvocato alle prime armi in L’uomo della pioggia). Che è poi quanto accade, secondo i canoni della fantascienza, in Megalomania, perfetto paradigma indiretto ma con effetto attivo e retroattivo sull’universo-Coppola, dove è la tensione tra il sovrano galattico e il suo ministro troppo intraprendente a generare lo scontro di dimensioni colossali.
Ogni tassello del puzzle filmografico partecipa di questa mega-prospettiva, onirica e materiale, patriarcale o addirittura taumaturgica, che comprende dichiarazioni coerenti enunciate non di rado dai titoli stessi, assonanti e significativi a un tempo: You’re a Big Boy Now (in italiano Buttati Bernardo!) e Apocalypse Now, Sulle ali dell’arcobaleno (questa volta persino più calzante di Finian’s Rainbow), Il padrino, Un sogno lungo un giorno o L’uomo della pioggia (più efficace nell’originale The Rainmaker). La megalomania pertanto si impadronisce di ogni articolazione concepibile in modalità spazio-temporale, poiché anche il tempo diventa all’occorrenza un oggetto da possedere, manipolare e scatenare (Peggy Sue si è sposata, Un’altra giovinezza), come la vita che si protende in forma rituale o vampiresca oltre i limiti imposti, faccia a faccia con una morte rimossa attraverso la commemorazione militar-monumentale (Giardini di pietra) o ritardata dalla sete insaziabile di sangue (Dracula di Bram Stoker).
Né potrebbe essere diversamente se la pericolosa partita transita dal dominio tecnologico del suono da parte di esperti maniacali subissati dal delitti e dai segreti ai piani alti delle grandi corporazioni (La conversazione), o se è una storia d’amore a reclamare il controllo elettronico dell’immagine urbana artificiale (Un sogno lungo un giorno); e se anche l’infanzia di una bambina, figlia d’arte, comincia la giornata da una lussuosa torre d’avorio che con l’armonia flautata svetta sui diseredati in piena New York (La vita senza Zoe), poiché non c’è “vita” senza un apparato produttivo all’altezza delle pionieristiche e filmiche ambizioni (Zoe[trope], nella doppia accezione di cinema precorso e società cinematografica/ familiare di Coppola); o infine se, malauguratamente, epperò con effetti collaterali emblematici, la crescita risulti talmente accelerata da condensare un destino di fisiologica megalomania (Jack).