La Storia. Le storie
One Night in Miami nasce come pièce, nel 2013. Le storie e la Storia si combinano, si fondono, alcune date sfumano, e l’invenzione, la “fiction”, si scioglie nella realtà. E viceversa. Il film di Regina King, il suo esordio alla regia, è teatrale. Ma lo è come lo potevano essere i film più “teatrali” di Robert Altman degli anni 80, Streamers, Jimmy Dean, Jimmy Dean, Follia d’amore: un cinema per il quale il tempo e le immagini passavano dalla parola, in essa trovavano significato, e dove nella parola si elaborava una forma. E se in Jimmy Dean, Jimmy Dean Altman sfruttava lo stile per creare dei vuoti emblematici, in cui le parole sembravano sprofondare per ritornare distorte e talvolta sgradevoli, Streamers e Follia d’amore, forse non a caso molto meno celebrati e meno amati (anche dai fan del regista) rispetto a Jimmy Dean, Jimmy Dean, lavoravano quasi esclusivamente sulla parola in funzione di paradigma e di mito, attraverso la quale non soltanto articolare e sbriciolare il presente ma anche alludere a un fuori, edificare il mondo, quello che oltre le mura – oltre il palcoscenico – andava facendosi. Quei film altmaniani erano film sulla contemporaneità raccontata da dentro un privato inquieto, che apparteneva tanto ai personaggi quanto all’unità di luogo (la caserma di Streamers, l’emporio di Jimmy Dean, Jimmy Dean, il motel di Follia d’amore). La verità non era evidente, non era data, non scaturiva automatica dal confronto e dallo scontro. Avviene anche in One Night in Miami, che è altmaniano nello spirito (ma dell’Altman eighties, per l’appunto), e dove le storie e la Storia si intrecciano non per annullarsi reciprocamente ma per sostenersi e per sacralizzarsi. La verità, dunque, non esiste perché di verità ne esiste più d’una, non appartiene a nessuno, né agli idealisti né ai politici, né agli artisti né ai più ribelli; la verità è che la verità è fuori fuoco (e a questo proposito Jimmy Dean, Jimmy Dean aveva già capito tutto), imprecisa, inafferrabile, ma proprio perché vera per tutti, anche quando non lo è. E One Night in Miami, per cui il reale non è reale ma si ispira alla realtà per usarla al fine di costruirne un’altra, di realtà, vera e non vera, e forse più vera della realtà perché urgente, perché inderogabile, capisce perfettamente che è nella parola che l’immagine del mondo si realizza, al di là di qualunque ricostruzione storica o di necessità da biopic.