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La logica della follia. Psicopatologia di Joker

Le interpretazioni date alla figura del Joker sono tante e tutte ugualmente valide: emblema del doppio, incarnazione del desiderio, personificazione del dionisiaco, distruttivo fool shakespeariano, nuovo e perverso Zarathustra nietzschiano, metafora del terrorista o dell’anarchico. E chi più ne ha più ne metta. Riflessioni che partono tutte da un dato comune: Joker viene infatti visto come espressione di una volontà piena (scaturigine del disturbo dissociativo che lacera la sua personalità), animato da un sovraccarico di energia e da «un surplus di godimento», come scrisse Gianni Canova citando Lacan.

Proviamo, quindi, a iniziare il discorso percorrendo una strada alternativa e inquadrando brevemente Joker anche come figura del vuoto o dell’assenza. Travalicando il caso singolo e prendendo in considerazione invece la totalità dei testi (cinematografici e non) in cui compare il più celebre «cattivo» dei fumetti, si nota infatti come questi sia a tutti gli effetti un personaggio senza nome. Il suo alter ego «civile» si chiama Jack Napier nel Batman di Tim Burton, Arthur Fleck nel Joker di Todd Phillips, non ha alcuna connotazione onomastica nella celebre storia a fumetti Batman – The Killing Joke di Alan Moore e nemmeno ne Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, in cui narra una versione sempre diversa sull’origine delle cicatrici che gli deturpano le labbra in un perenne ghigno schizoide. Joker esiste solo come puro corpo-maschera. La vicenda malinconica e tristanzuola del suo presunto passato che rievoca in The Killing Joke, quella di un cabarettista fallito divenuto criminale per necessità e col volto sfigurato in un pallido algore per via della caduta in una cisterna di liquami chimici, è probabilmente l’ennesima burla di un artista della simulazione. Senza contare che l’incidente che trasforma il gangster Jack Napier nel folle Joker dalla pelle bianca, le labbra parossisticamente rosse e i capelli verdi viene rappresentato da Burton più come un disvelamento che come una genesi. Nel corso del film, infatti, Joker applica al volto un fondotinta rosa per contraffare, attraverso una forma di macabra cosmesi, una normalità mai posseduta.

Motivi per cui oscilla su un piano pericolosamente inclinato la scelta di Phillips e del suo co-sceneggiatore Scott Silver di contenere in Joker l’esuberanza egoriferita del personaggio all’interno degli schematismi di una psicologia cognitivista e comportamentale tipicamente nordamericana. Perché Joker, al contrario dalla sua nemesi (e suo doppio) Batman e di molti altri supercriminali, è privo di una vera origine. In un contesto così dominato dal buio come quello di Gotham City, la sua iperconnotazione visiva (non solo la cute eburnea da angelo maledetto, ma anche la vistosa giacca viola, le cravatte a farfalla e le pochette floreali) rappresenta il tentativo di rimarcare un’alterità assoluta e per questo sempre uguale a se stessa. Senza storia e, soprattutto, senza tempo: non a caso, nel film d’animazione straight to video Batman of the Future – Il ritorno del Joker, diretto da Curt Geda, Joker si ripresenta a un Bruce Wayne/Batman ormai anziano senza essere invecchiato di un solo giorno.

La vera forza del personaggio nasce proprio da qui. Joker è a conti fatti un mistero. Se fosse facilmente classificabile o categorizzabile, perderebbe non solo buona parte del suo fascino ma anche le ragioni profonde della sua funzione. Che è anzitutto quella di rappresentare l’assenza di un’armonia universale, mettere in discussione l’esistenza di un ordine cosmico o morale preesistente (l’esatto contrario di Batman, spinto ad agire da principi puramente normativi) e proporsi come agente del caos. In questo senso, Joker è figura puramente metafisica e immutabile che agisce all’interno di una realtà in continuo cambiamento. Basti pensare al fatto che Gotham City, la «città-mondo» (sempre Canova) in cui i personaggi vivono e agiscono, assume di film in film connotazioni sempre diverse: gotica nel Batman di Burton, moderna ne Il cavaliere oscuro (che ne sottolinea la natura insulare e quindi separata dal resto del mondo), decadente e putrida in Joker, dove è persino invasa dai topi, barocca e vittoriana nel recente The Batman di Matt Reeves (in cui Joker compare solo brevemente).