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Gatsby ha cent’anni

Quando fu pubblicato per la prima volta, il 10 aprile del 1925, il suo autore aveva 29 anni. Nel 1920 era diventato molto famoso e quasi ricco con il suo primo romanzo, racconto disincantato e disinvolto dei giovani di quegli anni di immediato dopoguerra e di vero inizio del nuovo secolo: quella che fu chiamata l’età del jazz, che durò all’incirca un decennio (fino alla grande crisi del 1929), in cui tutto cambiò, dalle sottane, ai capelli, alla musica, alla cultura, alla morale. S’intitolava Di qua dal Paradiso e Francis Scott Fitzgerald potè sposare la sua Zelda ventenne che non intendeva vivere da povera. Grande coppia, in un pugno di anni rovesciò il mondo e si frantumò perdendosi nei suoi frammenti; non si lasciarono mai né mai, probabilmente, si aiutarono davvero (vedi Tenera è la notte, il quarto romanzo, del 1934). Se Di qua dal Paradiso e Tenera è la notte raccontavano i nuovi giovani sfrenati degli anni 20 e i successivi maturi borghesi e intellettuali americani che si consumavano nell’infelicità di qua dall’oceano, sulle spiagge francesi, il romanzo che uscì nell’aprile del 1925 era il sommesso, malinconico rimpianto di un sogno che, nato da poco, era già sulla strada del tramonto, di un ideale, di una bellezza, di una giovinezza perdute nelle svolte di vite brevissime, nel braccio d’acqua tranquilla che separa due case, due mondi, due storie. Tre, in realtà, perché con Jay Gatsby e Daisy Fay c’è anche Nick Carraway, il narratore, il giovane che è arrivato all’Est dal Midwest (come Fitzgerald), che condivide con Daisy ceto e origini, ma che è l’unico a guardare sotto la corazza sottile di Gatsby, all’anagrafe James Gatz, nato povero, figlio di contadini, avventuriero, uomo di successo, innamorato. Quasi un romanzo breve, un centinaio di pagine, che racchiudono però, non solo un’eterna storia d’amore andata a male, ma soprattutto uno sconsolato ritratto delle vite americane che già allora, nel 1925, per lo scrittore non ancora trentenne, non conoscevano secondo atto. Il grande Gatsby è uno dei romanzi fondamentali del XX secolo (non solo per me e non solo per la narrativa nordamericana), uno dei più tradotti al mondo, uno di quelli che più sono riecheggiati nella letteratura successiva, a partire da Salinger e Kerouac, come sottolinea nella sua postfazione all’edizione Garzanti 2025, la scrittrice Claudia Durastanti, che ne ha curata la nuova traduzione (la prima italiana fu quella leggendaria di Fernanda Pivano). È più sottile, più raffinato ed enormemente più grande dei quattro film che ne hanno tratto; l’ultimo dei quali però, quello di Baz Luhrmann, riesce a coglierne il senso tragico definitivo in due momenti, quello travolgente del party e quello agghiacciante della Valle delle Ceneri.