«In realtà, a ben guardare, l’intreccio di I signori preferiscono le bionde è tetro come un romanzo di Dostojevskij. Questo fatto fu ben riconosciuto quando il libro arrivò in Russia. Le autorità sovietiche lo abbracciarono come la prova evidente dello sfruttamento cui sono sottomesse le donne bionde e indifese dai magnati predatori del sistema capitalistico. Col loro ingenuo amore per le situazioni angosciose, i russi lo spogliarono di tutto il comico che aveva e ne misero a nudo una trama densa di orrori. […] Al cospetto di una materia di questo genere, ogni vero romanziere avrebbe agghiacciato il sangue nelle vene del lettore, dalla grande indignazione. Ma io, con la mia infantile crudeltà, non sono mai stata capace di vedere nemmeno il più commovente comportamento umano se non come una stravaganza. Per esempio, quando Albert Einstein, dopo aver elaborato la sua sconvolgente Teoria, ammonì i colleghi scienziati a non servirsene mai per l’estinzione della specie, a me sembrò una facezia».
Lo scriveva Anita Loos nella sua prefazione del 1963 all’irresistibile “diario” della bionda, amorale, avidissima gold digger Lorelei Lee (pubblicato per la prima volta nel 1925 e poi divenuto, sempre per mano di Loos, una commedia e un paio di film): fin troppo facile applicare le sue considerazioni sui russi a certi eccessi delle odierne crociate. Un conto sono la difesa di uguaglianza e la denuncia di soprusi (anche atavici), un conto è mettere le mutande al David di Michelangelo (per rifarsi ancora ai russi). Il cinema (come la letteratura eccetera) è cresciuto anche su adorabili bastarde come Lorelei (o peggio). Stereotipi? Può darsi. Ma, anche se fosse? Sostituibili da…? Robot? Il problema è che, nel compunto balletto dell’unanime (e perciò sospetta) e occidentale (perché altrove è un disastro) correttezza, talvolta si perde di vista non solo l’indispensabile storicizzazione di fenomeni, miti, movimenti, pulsioni, ma anche la loro complessità, la loro profondità. Si fa di ogni erba un fascio e si da fuoco a tutto. Col rischio che, invece delle donne vitali, curiose, indecise, magari acciaccate o disturbate, inquiete o folli, o addirittura pessime, irose, prepotenti di centoventicinque anni di cinema, dal fuoco emerga la Donna Perfetta, di inossidabile acciaio. Maria di Metropolis?
In questo numero abbozziamo un primo viaggio attraverso le traiettorie femminili nel cinema del 900, a partire da quei decenni in cui le donne cominciarono a ragionare seriamente su sé stesse, il loro ruolo, le loro potenzialità, i loro reali bisogni, decise a guardare dentro di sé, anche da fuori, attraverso specchi e talvolta occhi altrui. Oppure, quelle dei decenni più giovani che, senza nemmeno ragionarci troppo, ma per istinto, adottarono minigonne, pantaloni, pillola, spirale, look esistenzialista-beat nik-hippie-afro-punk-eccetera, mollarono i salvagente, imboccarono strade anomale (non solo per il loro sesso). E accavallarono le gambe. Curioso come l’accavallamento resista attraverso i decenni come simbolo ambiguo, da Lola Lola-Marlene seduta su una botte in un cabaret della Berlino 1930, a Dora-Catherine, a un tavolino di un locale nella Parma 1963, a Catherine-Sharon su una sedia in un distretto di polizia della San Francisco 1992. Il cinema le raccontò, come prima aveva raccontato le vittime e/o castratrici del mélo, le lady pericolose del noir, le pazze trionfatrici della commedia. I registi furono quasi sempre uomini, ma le scrittrici (di romanzi originari o sceneggiature) erano molto spesso donne. Che sapevano osservarsi nel profondo, nel bene e nel male e magari senza perdere il sense of humor. Saper ridere di sé stessi, come Loos, oltre a fare un gran bene, aiuta anche a mettere in prospettiva il mondo.
Perciò, un numero stretto tra Kate Winslet vendicatrice che dà fuoco non solo alla sua vecchia casa ma a tutta la cittadina da cui proviene (The Dressmaker), Katia Pascariu che attraversa indomita il sesso e la spazzatura di una Bucarest mercificata (Sesso sfortunato o follie porno), Audrey Hepburn che fuma come un turco (Colazione da Tiffany) e tante altre signore che, come l’antesignana Marlene Dietrich (L’angelo azzurro), accavallarono le gambe.