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editoriale

CINEFORUM / 516

Cortocircuiti

  • Adriano Piccardi

 

> </a></h2>    <p>1. Mentre Cinecittà è presidiata dai lavoratori mobilitati contro la decisione di liquidare ciò che resta di una tradizione produttiva che ha fatto la storia del cinema, non solo italiano, nottetempo un incendio distrugge il Teatro 5. Si tratta del teatro di posa più ampio di tutto il complesso. Soprattutto, si tratta del teatro utilizzato da Federico Fellini: come dire, l’autore italiano che forse più di ogni altro sa suscitare – nell’immaginario internazionale – l’identificazione tra arte del cinema e regno della finzione, dove tutto ciò che proviene dalla realtà, dalla Storia, si mescola al vissuto, alla psiche di chi la sa trasmutare in un gioco visionario, mai innocente ma allo stesso tempo salvo dalle macerie morali e dal dolore intrinseco al mondo che lo ha ispirato. 2. In una sala cinematografica di Aurora, nei pressi di Denver, Colorado, mentre sta per iniziare la prima proiezione di Il cavaliere oscuro – Il ritorno, terzo episodio della trilogia realizzata da Cristopher Nolan sul personaggio di Batman, un giovane uomo, sommariamente mascherato da Bane, il cattivo del film (anche se poi, una volta catturato, dichiarerà di identificarsi con Joker), spara sugli spettatori, uccidendone una dozzina e ferendone alcune decine. Alcuni scampati diranno ai giornalisti che all’inizio della carneficina avevano pensato che quegli spari facessero parte di una sorta di messinscena reale (cioè messa in opera in sala, al di qua dello schermo): promozione “realistica” degli scontri che il film si apprestava a mostrare.<br />  Perché questi due eventi sono intimamente connessi? Da una parte la distruzione di un luogo-simbolo della produzione di finzioni; dall’altra, la scelta di un luogo-simbolo dell’esperienza della finzione nel continuum di quella quotidiana come teatro per un gesto ciecamente distruttivo, rivolto contro chi a quell’esperienza stava per lasciarsi andare. Il motivo, penso, è che, nel loro fattuale susseguirsi, entrano in risonanza mostrandoci così il riverbero, non soltanto metaforico, di un fenomeno in corso ormai da tempo. Fenomeno che – attenzione – non può trovare spiegazioni nel consueto moralismo d’accatto capace soltanto di prendersela con il cinema come “cattivo maestro”, istigatore al Male e compagnia bella. Mi sembra evidente che qui entri in gioco piuttosto una mutazione culturale profonda, riguardante le modalità della percezione del rapporto tra sé e il mondo, comune ormai a una discreta fetta di individui appartenenti alla società digitale avanzata. Mi riferisco al cortocircuito concettuale che porta alla liquefazione del confine tra realtà e finzione, a partire dalla quale la dimensione dello spettacolo viene sottratta definitivamente alla seconda per entrare a far parte normalmente, anche se con effetti a volte tragici, della prima. La quale, peraltro, viene restituita a sua volta all’attenzione generale sotto forma di ricostruzione per immagini e parole, dunque di narrazione/finzione, occultate però dietro la maschera sommaria di “fatto realmente accaduto”. A ironica conferma di questa commistione sta il dettaglio “romanzesco” della giornalista, morta sotto i colpi del killer, che era scampata un mese prima a una sparatoria in Canada, già oggetto di racconto sui media americani. Quale epoca chiude l’incendio notturno di Cinecittà? A quale epoca apre la sparatoria di Aurora?</p>  

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La Federazione Italiana Cineforum è una associazione a carattere culturale che opera per la promozione, la diffusione e la valorizzazione della cultura cinematografica e audiovisiva. Con questo obiettivo la FIC organizza corsi, convegni e seminari, distribuisce film classici e inediti, fornisce consulenza specializzata. Dal 1961 è editore di Cineforum, rivista di critica e cultura cinematografica.

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