GUARDARE, VEDERE di Adriano Piccardi
Ancora da Cannes. La lezione di ironica anatomia che Cronenberg conduce, in Maps to the Stars, sul putrescente corpo hollywoodiano, tracciando “mappe mentali” in grado di guidare una ricognizione adeguata degli “scenari viscerali” di quella quotidiana umanità aggirantesi nella concreta società dello spettacolo, di cui è lui stesso parte integrante. Altra esplorazione per nulla pacificata è quella condotta da Asia Argento in Incompresa: conflitti famigliari e presa di coscienza delle attenzioni tutt’altro che disinteressate provenienti dall’“esterno” sono il terreno di coltura di un’educazione esistenziale controversa, di una ferita interiore difficilmente cicatrizzabile. Abel Ferrara, infine, con il suo Welcome to New York, emarginato dai programmi ufficiali del festival per motivi facilmente intuibili quanto culturalmente squalificanti: film impertinente che utilizza il suo approccio politically incorrect per ragionare su questioni che vanno ben oltre il pretestuoso voyeurismo provocatoriamente esibito.
A fare da contraltare al film di Gitai è l’intervista a Emad Burnat, il cineasta palestinese candidato all’Oscar con il suo documentario 5 Broken Cameras: esempio di filmmaking militante, dal versante opposto a quello in cui si muove Gitai, però idealmente non da esso separato se, come Burnat dice, «io e gli altri abitanti di Bil’in abbiamo iniziato a collaborare con una rete di attivisti pacifisti, anche israeliani»: cinema come elemento di fraternizzazione e di proposta politica.
Ma la Storia ci riguarda tutti, e con essa il Tempo che ne è tra le dimensioni fondanti. Se dal Medio Oriente palestinese e israeliano ci trasferiamo in Puglia seguendo il più recente lavoro di Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente, In viaggio con Cecilia, ne abbiamo un’altra prova inconfutabile. Documentario, ancora una volta, frutto anche di un confronto tra passato e presente dal quale non sempre è possibile ricavare osservazioni “positive”. Ma anche qui, l’importante è mantenere innanzitutto gli occhi (e l’obiettivo della macchina da presa) bene aperti: la bellezza e la problematicità di ciò che è inquadrato non vanno mai disgiunte.