QUALE PASOLINI di Adriano Piccardi Su questo numero abbiamo deciso di riservare uno speciale “Primo piano” al film di Abel Ferrara, Pasolini. Film alquanto controverso, in verità, tant’è vero che due degli interventi, come vedrete risultano piuttosto critici (anzi, quello di Roberto Chiesi, gli è decisamente ostile). Eppure non abbiamo saputo resistere. Avremmo potuto affidarci alla recensione positiva di chi ha evidentemente amato il film oppure ridurre la recensione alla misura breve, come avviene di solito con i film meno riusciti o meno “importanti”. Ma proprio il fatto che avevamo a che fare con un film sicuramente importante anche se innegabilmente sbilenco ha prodotto una sorta di fascinazione, la necessità di aprirlo alla ricerca di ciò che ne fa per qualcuno una «“mascherata” in-fede(le) di Pasolini: tanto filologicamente inesatta quanto efficace nel restituire una dimensione di contaminazione totale, quella che il poeta intratteneva con la propria opera» (Matteo Marelli); e per altri il fallimento estetico di un’operazione che imbalsama il protagonista in «sequenze che, a parte una luce slavata e triste, non si elevano dalla sciatteria espressiva di un mediocre telefilm» (Chiesi). Questo, però, non per allestire il siparietto del pro e contro: e infatti non soltanto alle voci discordanti è stato lasciato tutto lo spazio necessario per dispiegare le proprie argomentazioni, ma il contraddittorio è stato anche allargato anche a un terzo intervento: quello di Anton Giulio Mancino che ha approfondito in particolare un elemento del film tutt’altro che secondario, cioè la questione della voce di Pasolini e delle scelte operate in proposito sia nella versione originale del film di Ferrara sia in quella doppiata. Siamo convinti di aver fornito in questo modo materiali utili, nella loro diversità di impostazione e di valutazione, alla visione/lettura consapevole di un film senz’altro non immotivato. La presenza del poeta/regista di Casarsa in queste pagine non si limita a mostrarsi solo in quanto evocata direttamente dal film di Abel Ferrara. Film pasoliniano è in certo qual modo Anime nere, con la sua configurazione tragica («Se un fondamento va cercato, è nella tragedia greca») e la sua visione feroce della dissoluzione dell’istituzione familiare dietro la parvenza di una “normalità” mortifera. Così come una vitalità tutta pasoliniana, ci sembra, pervade Io sto con la sposa: i suoi protagonisti irriducibilmente proiettati verso una felicità semplice, fatta di sopravvivenza e di relazioni interpersonali così dense perché fondate sulla comune esperienza del dolore da cui sono fuggiti e della precarietà esistenziale in cui ora sono costretti a muoversi. E, sui generis, non ci sembra poi così lontano da ascendenze pasoliniane nemmeno Il regno d’inverno: il contrasto che ci propone tra la forza immanente di una natura ancora “primitiva” e di chi la abita, e l’ambiguità (per non dire di peggio) del sentimento morale di chi – nascosto dietro la differenza di classe e gli strumenti fornitigli dalla ricchezza e dalla cultura – vi si muove come in uno scenario estraneo testimone della sua raggiunta anaffettività.