CINEFORUM / 548

Rispetto

Ci sono cineasti per i quali girare un film è un bisogno talmente forte, talmente insopprimibile da essere pronti ad affrontare anche un silenzio decennale prima di realizzarlo, se si trovano nell’impossibilità di lavorare alle condizioni che riconoscono come proprie. Claudio Caligari apparteneva a questo ristretto numero di “incorruttibili”, fedeli alla linea intransigente della propria idea di cinema fino a sacrificarvi ogni opportunità che non la rispettasse integralmente. Questo si paga. Ma restituisce in cambio il rispetto di molti: è già qualcosa. Se fosse di tutti, ci sarebbe da sospettare. Così come ce ne sono altri che, impediti a esercitare la loro arte da uno stato di censura, si inventano i film tra mille sotterfugi, infischiandosene del bel movimento di macchina e utilizzando gli strumenti minimali che la tecnologia fornisce loro. È cinema di autodifesa, quello di Jafar Panahi, cinema combattente e votato a una sostanza politica senza fronzoli estetici. Anche se, nella sua immediatezza, non cessa per un secondo di condurre su di sé una continua riflessione metalinguistica. Cinema, anche questo, che si guadagna sul campo il rispetto di tanti. Se decidiamo di valerci della categoria del rispetto come strumento in grado di vagliare, nella marea dei materiali audiovisivi da cui siamo letteralmente sommersi, ciò che merita di essere considerato, dobbiamo sapere che ci inoltriamo su un difficile terreno. Ci sarà richiesta la capacità di intavolare con l’oggetto del nostro rispetto una relazione per certi versi pericolosa, nella quale saremo forse chiamati a superare quelle resistenze che potrebbero affiorare sul piano dell’adesione estetica e/o ideologica. Dovremo forse anche forzare almeno in parte certe riserve critiche che in altri casi avrebbero ragion d’essere ma che qui ci porterebbero invece a mancare l’obbiettivo di una comprensione assolutamente necessaria quale premessa e guida alla visione e a ogni discorso successivo. È in questi casi che l’approccio deve innanzitutto farsi morale e che il pensiero critico deve trovare la convinzione e la forza di accompagnarlo senza rubargli spazio, per non perdere di vista la traccia determinante in grado di condurlo ad articolare un giudizio adeguato alla materia di cui parlare. Poiché è chiaro che ci troviamo a confrontarci con qualcosa che non appartiene all’ordinario e che, dunque, tende a sottrarsi alle leggi ordinarie – spesso garanti di una sicurezza mal riposta. Ma se accettiamo il rischio, magari un giorno potremmo trovare proprio nel ricordo di opere come queste l’energia in grado di medicare, al bisogno, l’affievolirsi di fiducia che non di rado proviene dal confronto con certi risultati che la frequentazione quotidiana dell’offerta filmica ci propone. E di restituirci la speranza che, sì, una sorpresa in grado di riconsegnarci il pur sempre necessario desiderio di cinema è ancora possibile.