Il piano sequenza che apre Indivisibili fende uno dei protagonisti del film: Castel Volturno aggredito, sbranato, nauseante incuria fatta già due volte cinema da Matteo Garrone (L’imbalsamatore e Gomorra) e Marco Risi (Fortapàsc). Il primo oggetto della fluttuante inquadratura di Edoardo De Angelis – che già sulla costa stuprata aveva portato il suo cinema – è un Cristo statuetta arenato nella sabbia, tra i granelli grigio scuro e la fungaia di rifiuti, metafora di un Dio tanto presente su quella piana mesta quanto incapace di imporre la sua legge. Obbligato, al contrario, a obbedire a quelle imposte dai locali. Il volo a pelo di sabbia della macchina da presa conduce a un piccolo ecomostro incastrato dentro l’abitato: anello di una desolante catena di mattoni nudi e cemento senza verde né gusto, bivacco di altri mostri, stavolta umani a perdere, di colpevolezza netta e insieme relativa, perché, lo afferma il sacerdote che fuma e non pare credere granché in Dio: «Qui la gente normale fa la fame!». O sei camorrista, allora, oppure sopravvivi, oppure ancora, se possiedi tuo malgrado qualcosa di speciale – che importa se doloroso… – puoi diventare fenomeno da baraccone.
Ecco la vicenda, dunque, nella triste fiaba di Edoardo De Angelis, di due fiori nati appiccicati su quel lurido lungomare di prostitute e piscine arrugginite: due scugnizze su cui pulsa ancora innocenza, gemelle siamesi ingenue, belle e brave a cantare. Minierina d’oro, quindi, per i parenti derelitti, grotteschi e insieme e tragici del film, come lo erano i Ciraulo di Ciprì, qualche anno fa, quelli del bellissimo È stato il figlio, che nella morte di una figlia vedevano la possibilità di guadagnare soldi. Sottoproletariato contemporaneo, se si può ancora usare questa parola, evoluzione, si fa per dire, di quello già sporco brutto e cattivo di Ettore Scola, anno 1976, che di notte sognava televisione e aspirapolvere. Quando si viene a sapere, nella degenerazione familiare di Indivisibili, che il padre si è giocato ai videopoker tutti i soldi guadagnati con le esibizioni delle inseparabili sorelle, questi rinfaccia alla moglie di essersi riempita casa di elettrodomestici di ogni sorta. Viene in mente anche Tognazzi, due volte: quello di I nuovi mostri, sfruttatore della moglie cantate di balera – l’episodio era L’uccellino della Val Padana, di Ettore Scola – e quello, esplicitamente citato da De Angelis, di La donna scimmia di Marco Ferreri, visto che un personaggio del film porta proprio questo nome.
Il tema non è nuovo, dunque, meschinità e cinismo hanno sempre abitato l’uomo, e dove c’è degrado queste piante diventano foreste. Le miti ragazzine del film, però, sorreggono anche un altro argomento, spingendolo al continuo contrasto con la bruttezza descritta fino a ora: la separazione come prezzo da pagare per la libertà. Sono due, e la prima, quando esplode la possibilità di un intervento chirurgico che le separi, pompa tutta la sua voglia di avventurosa scoperta. L’altra frena, rammentando di continuo le comodità e le certezze di quella vita pur rinunciataria e sofferente. Sono due, ma è come se fossero quell'uno diviso che siamo tutti noi di fronte al cambiamento. Questa traccia universale scioglie Indivisibili dal guinzaglio dell’esclusiva denuncia e della (ormai ripetuta) messa in mostra di un territorio tanto problematico quanto ricco di materiale narrativo. La battaglia di Daisy e Viola si accorda con la liberta espressiva che accompagna tutto il film, fatto di pennellate che incollano sapientemente paesaggio e personaggi, grazie anche al mastice offerto dalle preziose canzoni di Enzo Avitabile. Il giorno dopo, al di là delle sue imperfezioni, il terzo film di De Angelis ritorna su, inquietando piacevolmente.