CINEFORUM / 560

Agnus Dei, di Anne Fontaine

Agnus Dei reca sullo schermo la narrazione avvolgente di un dramma che dall'individuale conduce al collettivo, dal singolo ritratto di dolore porta a una dimensione umana destinata a travalicare l'immediata dimensione e i confini geografici dei fatti narrati. Nella Polonia del 1945 Mathilde è una giovane francese della Croce Rossa il cui cammino si incrocia con quello di Maria e delle suore di un convento di benedettine la cui esistenza è dilaniata da un segreto inconfessabile: sopravvissute ai nazisti, hanno dovuto subire la barbarie dei soldati russi, che le hanno stuprate per giorni; ora, sette di loro aspettano un bambino, e il silenzio si stringe attorno alla loro attesa che diventa, nella rappresentazione severa e senza sconti di Anne Fontaine, motivo di sconcerto e esperienza assoluta. Mathilde, comunista di belle speranze a dispetto delle critiche che vengono rivolte al suo ideale, si confronta con le abitudini delle benedettine, con le loro rinunce e con i loro volti orientati a una preghiera che sovente sembra il riflesso di una condotta votata ad un intransigente incoscienza. Le convenzioni, le rimozioni, la presunta volontà di protezione della madre superiora, si scontrano con l'urgenza della realtà, con l'impellenza della Storia, con fatti che vanno affrontati e non è in alcun modo possibile rinviare. Nel convento, che si trasforma da luogo di un esilio spirituale a fortino di sopravvivenza dell'umano, Mathilde, che vuole portarle in salvo, impara a conoscere le abitudini delle devote a Dio, e il suo laico desiderio di aiutare le sorelle e le nascite reca un aspetto di partecipazione umana profonda, quella solidarietà che le lacerazioni della Storia necessitano per poter voltare pagina.

Fontaine racconta bene, senza passi falsi e cadute di tono, la vicenda delle benedettine e l'incontro, dapprima vissuto con titubanza poi sentito come irrinunciabile, con Mathilde. La regista, già altrove attenta al femminile e alle sfumature di senso ribadite da disappunti caratteriali che diventano elemento di dialetticità, critica l'ottusità delle tradizioni (il comportamento fanatico-allucinato di madre superiora) e fa pensare più volte a come il caso incida nel tessuto degli eventi. Il personaggio di Mathilde (un'intensa Lou de Laâge) è trepidante nel suo bisogno di aiutare per assecondare la sua inquietudine silenziosa; è intenso nel suo eccedere verso l'altro, nei suoi silenzi eloquenti che sono il riflesso di un desiderio di partecipare all'altrui sorte contribuendo con il proprio operato a cambiare in meglio i destini. Il dramma acquisisce progressivamente note solenni e sprazzi di sgomento con punte inquietanti (rappresentate dalle abitudini delle monache, costrette a confrontarsi infine con una realtà umanissima che le farà diventare più vere e coscienti), ma il pregio di un film dalla narrazione tanto precisa è anche di non eccedere in simbolismi e in tratti caricaturali. Il pathos, la partecipazione, sono garantiti dalla presenza solidale di Mathilde alla vita delle esiliate, che si scoprono prigioniere dentro una prigione più grande qual è la Storia della Polonia tra gli anni della dominazione nazista e quelli della liberazione russa.

Quei bambini che vengono salvati da Mathilde sono i figli della Storia che si troveranno con una madre suora e un padre assente; un padre "oscuro" e misterioso da ritrovare un giorno nel volto di ogni possibile cittadino del mondo. A loro è affidato il messaggio positivo, davvero eloquente, che Agnus Dei reclama. Un messaggio che riequilibra gli animi e il volto di Mathilde altrimenti abituata nell'ospedale di guerra a vivere la quotidiana inquietudine ribadita dalla sensazione di trovarsi sempre dinanzi a un futuro incerto o a un bivio oscuro. Quando il suo medico, che la desidera e sarà ricambiato solo per quel tanto di cameratesco che lei nutre per lui, scopre che Mathilde sta rischiando la vita per aiutare le monache, cercherà a sua volta di aiutarla e metterà in gioco se stesso e i suoi pregiudizi. L'elemento più significativo del film di Fontaine è proprio l'invito ad aprire il dialogo, la ricerca di una condivisione di esperienze e l'empatica spinta a lasciar convergere vite e caratteri avvicinati dalla Storia ma anche dalla scelta di un aiuto reciproco; perché in fondo, anche in un'epoca di gravi ferite come quella raccontata dal film, chi ha potuto e voluto scegliere di aiutare gli altri ha insegnato qualcosa di profondo e ha scelto la vita, al di là delle ideologie, come un atto di fede.