A far da titolo al nuovo film di Daniele Vicari è il ritornello di una ormai vecchia (correva l’anno 2001) e ridicolmente semplice canzone estiva di Valeria Rossi. Improntata alla semplicità formale, ma tutt’altro che ridicola, è invece la prova del regista, che dopo aver variamente esplorato i territori del documentario, ci regala un nuovo film di fiction, comunque non troppo distante dalle sue ricerche precedenti. Ad aver interessato Vicari è sempre stata la realtà, colta direttamente e interrogata anche con coraggio nelle sue pieghe più inconsuete. Il suo cinema è, per definizione, incollato ai fatti: già Uomini e lupi (1998) era da questo punto di vista programmatico.
Sole cuore amore rientra a pieno titolo in questo percorso di indagine, sviluppandosi intorno alla vicenda umana di Eli (interpretata da Isabella Ragonese). La sua è un’esistenza fatta di attese, spostamenti e sopportazione silenziosa. Una vita di resistenza, individuale ma al tempo stesso universale nel desiderio mai celato di rappresentare la condizione di tanta parte della popolazione italiana al tempo della crisi. Affetti semplici ritratti con grande partecipazione ma senza indulgere in facili sentimentalismi addolciscono il suo impiego da barista a due ore di viaggio da casa. Quattro figli da mantenere e un marito disoccupato suo malgrado ci raccontano, non appena il focus narrativo si allontana da Eli, del nuovo protagonismo assunto dalle donne e del dramma silenzioso di figure maschili continuamente private del loro ruolo abituale.
Sullo sfondo rimane anche il personaggio di Vale, altro ritratto di donna forte che, però, rifugge i legami sentimentali e vive all’ombra di una madre borghese e bigotta, con la quale ha un rapporto irrisolto. La sua parabola narrativa è debole e il ritratto che Vicari ne fornisce è purtroppo solo schizzato: di lei vediamo quel tanto che basta a illuminare per contrasto la strenua resistenza di Eli, il suo vitalismo frustrato da un mondo all’impasse.
Il legame fra le due è fortissimo ma è continuamente avvilito dalle circostanze: i loro incontri sono limitati dai loro impegni (barista l’una, danzatrice l’altra) e il loro legame, per quanto meravigliosamente umano, risulta alla fine insufficiente ad offrire un’ancora di salvezza dalla tragedia silenziosa dell’esistenza. Sotto questo aspetto, Sole cuore amore si presenta come un oggetto di rara coerenza: non esiste nessuno spazio di decompressione per sfuggire dal dramma del quotidiano, a livello collettivo ma anche individuale.
Da una parte il film ci racconta infatti le conseguenze che la crisi economica ha avuto (e continua ad avere) sulle vite di chi la subisce senza poterne sfuggire, ma dall’altra offre anche una sottotraccia che ci parla – fra le righe ma con una certa efficacia – di cosa significhi in questo contesto essere donne, delle scelte che si devono (o non si possono) compiere e di quali conseguenze esse abbiano. Ed è forse in questa dinamica che si annida l’interesse più autentico del film.