CINEFORUM / 9NS

Babylon. Il posto più magico del mondo

Babylon, in effetti, è per metà una storia d’amore, per metà un racconto epico, di quelli che stabiliscono un mito di fondazione. Una storia piccola, da un lato, che finisce (forse) bene (Manny si salva dagli spari di James McKay, cambia Paese e vita, si sposa e diventa padre) e, dall’altro, una storia grande, collettiva, di tutti, una storia destinata a cambiare il mondo, e della quale Chazelle racconta tutte le contraddizioni (perché i miti, si sa, nascono dal conflitto, e ne rappresentano la soluzione): aspirazioni artistiche e sterco d’elefante, poesia e pasticche, bellezza e degradazione, amore romantico e perversione, silenzio e baccano. I film sono costruzioni faticose, caotiche e snervanti, che si strappano col sudore e le urla alla realtà, al caso e alla materia: su questo Babylon – esso stesso film che (ri)costruisce ben al di là del desiderio di ricomporre i pezzi di una storia – insiste tanto, e giustamente, perché dell’incanto del cinema vuole provare a cogliere il mistero, il momento ineffabile, la parola magica. Se Manny, seduto al cinema, si commuove fino alle lacrime, è anche perché viene travolto dalla memoria sfuggente di quell’esperienza, dall’euforia di essere stato lì mentre il cinema accadeva. «Era il posto più magico del mondo, vero?»: è una delle ultime battute di Jack, poco prima di spararsi.

Babylon potrà anche essere un film fuori forma e norma e con qualche inciampo, ma tutti i suoi peccati (nessuno mortale) sono, in fondo, figli di un eccesso d’amore e del desiderio di onorare qualcosa di «più grande, di più importante». Non solo. Se Babylon, pur raccontando i fatti, “stampa la leggenda” (siamo pur sempre nel West), mentre fa, tutt’altro che accidentalmente, un po’ di teoria delle immagini – della strana vita delle immagini, di quello che sono e di quello che possono fare a chi le guarda –, è anche per affermare una cosa che oggi non dice più nessuno, e che anzi sembra impopolare dire (l’ultima “battaglia”, in questo territorio, è stata combattuta ormai più di vent’anni fa, innescata dalla rivoluzione digitale). E cioè: che anche in quest’epoca ipervisuale, governata dalla diretta sociale sulle e delle nostre vite, fatta di immagini nuove e nuovi modi di fare e vivere l’immagine, il cinema resta un luogo, reale e immaginario, di cui abbiamo bisogno. Per Manny, anzi, l’unico luogo in cui abbia senso andare, e restare. Perché, come spiega a Nellie all’inizio del film, nei film «non succede niente, per davvero, ma allo stesso tempo quello che succede è qualcosa di più importante della vita». Davvero un luogo bellissimo.