Moby Dick uscì nel 1851 e non procurò al suo autore né denaro né onori, ma solo qualche scarna e poco benevola recensione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Herman Melville morì nel 1891, dopo aver lavorato per vent'anni come ispettore doganale al porto di New York, e senza sapere che il suo maggiore, ipnotico, catastrofico romanzo sarebbe diventato uno dei più acclamati classici della letteratura mondiale. Ben difficile perciò che due ruvidi marinai di fine Ottocento possano conoscere e mettersi a citare ironicamente personaggi dell'oscura epica melvilliana.
Accade invece puntualmente durante uno dei dialoghi roboanti tra i due protagonisti di The Lighthouse, attesissimo secondo film di Robert Eggers, esordiente quattro anni fa con The Witch, che aveva conquistato (seppur con qualche piccolo distinguo) gli appassionati di horror. A un certo punto il più giovane, Ephraim, durante l'ennesima, debordante esternazione marinaresca del comandante più vecchio, Thomas, gli dice più o meno: "Piantala, sembri una parodia del capitano Ahab!".
Fin dalle prime battute, il Thomas Wake di Willem Dafoe, mi ha fatto venire in mente una parodia di Long John Silver, il vecchio, malefico lupo di mare di L'isola del tesoro di Stevenson, altro grande romanzo avventuroso. A qualcun altro ha fatto venire in mente addirittura Braccio di Ferro. Il problema è che, se da un lato la frase di Pattinson a Dafoe è alquanto improbabile, dall'altro preferirei scoprire da sola da dove vengono le colte citazioni di un film. E in The Lighthouse le colte, coltissime citazioni non solo abbondano, ma addirittura esondano. A partire dall'impianto visivo, bianco e nero e, soprattutto, formato quadrato, tanto per mettere gli spettatori sull'attenti: qui non si fa un horror qualunque, qui si sta facendo cultura. E poi, a man bassa, tutte le possibili suggestioni, da Metropolis a tutto il cinema scandinavo, da Tod Browning al surrealismo, d'epoca ma anche polanskiano, al Von Trier di Antichrist.
Perché, certo, questo non è solo un film su due guardiani di un faro che, superati i limiti umani della tolleranza all'isolamento, cominciano a vedere, sentire, fare cose strane e pericolose. Questo è un film sul potere accecante della Luce e sulla tentacolare attrazione del Buio. Questo non è un horror, questo è un film d'arte o, come minimo, un horror engagé. Non corre un solo brivido tra le tante parole e le studiatissime immagini di The Lighthouse. Solo incessanti rimandi alla tradizione dell'American Gothic, come Ambrose Bierce e, soprattutto, il signore delle tenebre H. P. Lovercraft. Ma Lovercraft, Bierce, Stevenson, come maestri della luce quali Tod Browning, James Whale, Jacques Tourneur, Robert Siodmak non hanno mai tradito il genere per l'Arte, non se ne sono serviti per dimostrare quant'erano bravi. Ma attraverso il genere hanno trasformato la paura in un'arte. Qui l'Arte (se vogliamo chiamarla così) mangia l'anima del film.