Abel Ferrara col cuore in mano. Letteralmente.
Con Tommaso il regista americano si mette in scena, si auto-analizza e dà vita alle proprie ossessioni quotidiane, alle proprie paure ed emozioni. Si affida all’espressività dell'alter ego Willem Dafoe, coinvolge la moglie e la figlia, facendone il centro attorno a cui si scatena un uragano di disperazione. Come set la Roma in cui vive realmente, che non dà mai l’impressione di essere ospitale e accogliente.
Ferrara costruisce il suo film partendo dall’esigenza di raccontarsi, esasperando le situazioni in cui il suo alter ego è spinto a esternare ciò che sente: dalle riunioni degli alcolisti anonimi in cui svela il suo passato, ai corsi di recitazione e di italiano in cui fa salire in superficie il suo presente, fino alla stesura di nuovi progetti come valvola di sfogo su un possibile futuro. Oltre a questo, le ossessioni per la figlia verso cui è apprensivo in modo quasi malato, la paura di essere tradito dalla moglie, l’impossibilità di mantenere vivo il rapporto, la solitudine più assoluta…
Nel suo vagare senza meta, nel perdersi tra incubi e visioni, nel non sentirsi mai a casa, Tommaso diventa la materializzazione di uno stato d’animo e mentale: l’incarnazione di una depressione da cui non sembra esserci alcuna via d’uscita. È un corpo estraneo a tutto il resto, un ingranaggio che non gira insieme agli altri; una situazione che genera da subito frustrazione. Eppure Ferrara urla a squarciagola di non avere alcuna intenzione di lasciarsi andare; dimostra che il suo Tommaso prova a rimanere aggrappato alla vita e a ciò che lo circonda con le unghie e con i denti. Per rientrare in sintonia con il proprio mondo, per chiedere aiuto a chiunque gli capiti a tiro.
Sempre incollata al protagonista, sempre concentrata sul volto di Dafoe, sulla sua gestualità, sul suo italiano elementare ma sincero, la macchina da presa trasmette implacabile la condizione del protagonista. Una fotografia sporca, sfocata, con continui cambi di luminosità quasi amatoriali restituisce l’idea d’immediatezza dell’home movie, l’istintività del narratore sincero. Per l’intera durata de film – eccessiva, immotivata, forse fondamentale per riversare sullo spettatore la frustrazione messa in scena – ci si sente trasportati nello stato mentale di Tommaso, dalla sua ricerca di appigli, dal continuo sbattere la testa.
Abel Ferrara cerca di rendere partecipe lo spettatore, trascinandolo con sé, sbattendogli in faccia la propria umanità: un grido d’aiuto di fronte al quale è difficile restare indifferenti.