Concorso

Manglehorn

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Inquadrare il cinema di David Gordon Green è operazione tutt’altro che semplice. Il regista texano, dopo aver esordito a venticinque anni con il folgorante George Washington (a cui hanno fatto seguito diversi lavori squisitamente indie), sembrava essersi perso nel calderone delle commedie demenziali firmando pellicole come Strafumati e Lo spaventapassere.

Lo scorso anno pareva aver ripreso la “retta via” con Prince Avalanche (Orso d’argento alla Berlinale) e, soprattutto, con Joe, inserito in concorso alla Mostra di Venezia 2013. Oggi, invece, il regista ha toccato uno dei punti più bassi della sua carriera con Manglehorn, fino a poche ore fa uno dei titoli più attesi della kermesse lagunare.

Protagonista è Angelo Manglehorn (Al Pacino), fabbro di professione che vive in provincia in compagnia della sua gatta. La sua esistenza è perennemente turbata da un’antica ossessione: aver perso Clara, il grande amore della sua vita, tanti anni prima. Le sue giornate trascorrono scrivendo lettere alla donna amata, fino a quando una nuova presenza femminile entrerà a far parte della sua vita.

Banalissimo nell’andamento narrativo e ricco di sequenze prolisse oltre ogni limite, Manglehorn è un film sbagliato da ogni punto di vista. Gordon Green gira perennemente a vuoto e il suo lungometraggio finisce per perdersi, senza un centro a cui appoggiarsi e senza mai raggiungere una meta.

Al Pacino (ben poco in forma) si muove all’interno di un contesto (la provincia americana, come da tradizione nell’opera del regista) che non viene mai approfondito, accompagnato da personaggi scritti malamente (in primis quello interpretato da Harmony Korine) e da scelte visive poco azzeccate.

Stupisce (negativamente) la pacchianeria con cui Gordon Green – solitamente forte di un buon tocco di stile – costruisce diverse scene, finendo senza appello sopra le righe e non riuscendo affatto a colpire: dall’incidente automobilistico “con le angurie” all’insopportabile sequenza finale.

Indubbiamente resta forte l’attesa per il percorso futuro che il regista compierà, ma il bel Joe, un anno dopo, è già diventato un pallido ricordo.