Nel maggio scorso, durante il Festival di Cannes, dove Aquarius è stato presentato in concorso, arrivò la notizia che il parlamento brasiliano aveva votato la sospensione dalla carica di Presidente di Dilma Rousseff aprendo un procedimento di stato d’accusa per corruzione che quasi certamente porterà a un avvicendamento alla massima carica della democrazia brasiliana. Gli ultimi due anni sono stati politicamente e socialmente molto confusi per il Brasile e con un impeachment – che ha però anche tutta l’aria di una versione soft di colpo di stato – si chiude anche un ciclo di 13 anni del Partito dei Trabalhadores al potere. 13 anni dove il Brasile ha avuto un enorme boom economico, con indici della povertà dimezzati, salari e PIL in crescita e una significativa ascesa della classe media del paese. Ma tredici anni che sono stati anche di corruzione, di un potere sempre più solido da parte di una rete politico-imprenditoriale oligopolistica ristretta e legata a poche e influenti famiglie.
È questo il Brasile che si vede nell’interessantissimo Aquarius, secondo lungometraggio di Kleber Mendonça Filho (il primo, O som o reador, presentato nel 2009 al Festival di Rotterdam, in patria fu uno stroardinario successo di pubblico). E in particolare di questa crescita contraddittoria e dai piedi d’argilla si vede uno degli esiti più visibili: l’enorme bolla immobiliare che ha non solo finanziarizzato il paese ma anche ribaltato urbanisticamente molte delle sue città. Il film, ambientato a Recife, si apre proprio con un piano sui nuovissimi grattacieli e condos che ora svettano nel centro città. Ma subito lo sguardo del regista si sposta su una delle pochissime vecchie case rimaste. Qui nell’ultimo appartamento che non è stato ancora acquisito da una real estate company che vuole radere l’intero complesso al suolo, vive Clara (Sonia Braga), la protagonista del film, una donna di 65 anni che non ne vuole sapere di lasciare la casa piena dei ricordi di una vitanonostante le più che lusinghiere offerte economiche che le vengono proposte dagli agenti immobiliari.
Tra la vita di Clara e quella di Diego, il giovane agente immobiliare americanizzato che vuole fare di tutto per cacciarla via non c’è solo un’opposizione di interessi diversi ma anche di forme di vita. Clara è una giornalista musicale in pensione che ha un rapporto molto intenso con gli oggetti della sua vita: la sua casa è pieni di vinili, di fotografie, di oggetti che hanno tutti un significato che va molto al di là della loro immediatezza materiale. Nella primissima scena del film – un flash back di una festa di compleanno della madre di Clara del 1980 – si vede la madre, proprio nel momento in cui viene festeggiata dai suoi famigliari, mettersi a guardare un comò e assentarsi un momento con i ricordi dalla festa e iniziare a ricordare come lì sopra fece l’amore con il suo uomo molti anni prima. Kleber Mendonça Filho è molto attento a caricare di significato ogni oggetto e ogni famigliare della vita di Clara. Il Brasile del giovane arrivista Diego è invece quello che vorrebbe spazzare via tutto e cancellare le tracce del passato ignorando i significati non materiali che una vita può avere.
Tuttavia le opposizioni non finiscono qui e sono tutt’altro che rappresentate in modo manicheo dal regista brasiliano. Perché anche Clara fa parte delle elite della città, come le ricorda sarcasticamente Diego in un dialogo tesissimo del film (“Immagino che la tua famiglia abbia combattuto tantissimo per arrivare dov’è”). Aquarius pur sviluppandosi come un one-character-movie è soprattutto un film sulla città, sulle sue sedimentazioni, sulle sue contraddizioni. In un Brasile dove giornalisti, immobiliaristi e scrittori sembrano tutti appartenere alle stesse elite e venire dalle stesse famiglie, il conflitto tra Clara e la sua ostinata resistenza contro un’inevitabile gentrification pare essere eroico tanto quanto velleitario. Clara infatti viene dalle stesse famiglie che la vogliono combattere: sono le famiglie bianche che vivono con le cameriere sempre a portata di mano alle quali possono lasciare i figli in ogni momento; le famiglie che hanno come unico contatto con l’underworld delle favelas quello con i muratori neri che vengono a lavorare nelle loro case.
Aquarius si presenta così come il contraltare di Al di là delle montagne di Jia Zhang-Ke dell’anno passato: un film che ci mostra l’atto di cancellazione della storia e del passato messo in atto dalla modernizzazione capitalistica (là della Cina, qui del Brasile), ma che questo processo non dal punto di vista generale o collettivo, ma a partire dall’affetto che produce in una storia famigliare e soggettiva. Il cancro di Clara, i suoi capelli, i suoi incontri amorosi, la relazione complessa e contradditoria con i suoi figli sono la sostanza qualitativa di una vita, che l’astrazione quantitativa della speculazione edilizia è destinata inevitabilmente a spazzare. Nel riuscire a drammatizzare questa conflitto – senza la facile fuoriuscita di una soluzione – Kleber Mendonça Filho riesce a trovare la forma estetica giusta per il suo film. E nel farlo riesce anche a mostrarci – proprio nel mezzo della crisi che attraversa il suo paese – tutto il peso delle contraddizioni che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni del suo paese.
Clara, sessantenne ex critico musicale, è nata da una famiglia borghese di Recife, in Brasile. Vive in un palazzo molto particolare, l'Aquarius, costruito negli anni '40 sull'esclusivo lungomare di Avenida Boa Viagem. Un importante imprenditore ha acquistato tutti gli appartamenti del palazzo ma lei si rifiuta di vendere il suo. Inizia così una guerra fredda tra Clara e la società immobiliare che la tormenta di continuo.