Nikolaj Arcel torna a dirigere un film storico undici anni dopo Royal Affair, con cui ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino nel 2012, e per farlo affida nuovamente il ruolo di protagonista a Mads Mikkelsen.
Al centro del racconto c’è ancora un uomo di umile estrazione che tenta di affermasi presso la corte reale danese, caratterizzata da sfarzo e relazioni dolorose, fondate su matrimoni combinati e di convenienza. La monarchia e i suoi rappresentanti, anche quelli acquisiti ex novo, sono spesso paranoici, schizofrenici o violenti, il re è perennemente ubriaco ed è un fantoccio nelle mani degli aristocratici che lo circondano. La terra promessa lascia però in disparte la corte ottusa e moralmente corrotta, trasformando la brughiera dello Jutland danese come centro della scena, terra inospitabile e incoltivabile.
Il film, adattamento cinematografico del libro del 2020 Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen, si concentra sul tentativo di quest’uomo, il capitano Ludvig Kahlen, di trasformare la terra arsa e sterile in una colonia. Per farlo dovrà rendere fertile una terra brulla, spinto dal desiderio del re di vedere le proprie terre civilizzate. Ludvig Kahlen, oltre alla sua fedeltà verso la Corona, non ha nient’altro da perdere e s’imbarca in un’avventura che prende da subito i contorni dell’epica, dove il tentativo di trovare nuove terre abitabili diventa un’impresa al limite della follia.
Dramma storico e western si fondono, in questo sforzo costantemente osteggiato di portare la civiltà in una natura respingente, contro qualsiasi evidenza. Fin da subito il capitano Kahlen si trova costretto, andando contro la sua indole solitaria, a circondarsi di persone che lo sostengano nella sua impresa. Controvoglia si trova lentamente inserito in una rete di relazioni che lentamente cambieranno il suo carattere e le sue stesse convinzioni.
Anche in La terra promessa, come in Royal Affair, troviamo dunque la figura di un uomo ambizioso che cerca di effettuare la sua ascesa sociale in un ambiente che, in fondo, lo ripugna. Ma in questo caso si inserisce anche il tema di come possano cambiare priorità e punti di vista di fronte al possibile irrompere dell’amore: la scelta fra l’ambizione o la famiglia, fra i propri obiettivi e il bene di chi amiamo, rendono il film inevitabilmente (forzatamente?) attuale e facilmente trasponibile ai gironi nostri.
Le grandi contrapposizioni della vita, il desiderio e la determinazione di raggiungere gli obiettivi contro l’arrendevolezza di fronte al caos (come dice continuamente il villain del film, il perfido signore locale che dichiara guerra a Kahlen), si fronteggiano in uno scontro di personalità e visione della vita che sfocia nel macabro e nel selvaggio.
In una storia dove i cattivi sono cattivi per davvero, e i buoni risultano buoni fino in fondo, non manca una figura femminile forte e ben riuscita, interpretata da Amanda Collin, che incarna in modo univoco e forse un po’ elementare tutte le caratteristiche che dovrebbero possedere le eroine di oggi e di ieri.
Nel 1755, lo squattrinato capitano Ludvig Kahlen parte alla conquista delle aspre e desolate lande danesi con un obiettivo apparentemente impossibile: costruire una colonia in nome del Re. In cambio, riceverà per sé un titolo reale disperatamente desiderato. L’unico sovrano della zona, lo spietato Frederik de Schinkel, vuole impedirglielo ma Kahlen non si lascerà intimidire e ingaggerà una battaglia impari assieme alla famiglia di emarginati che si è venuta a formare intorno a lui.