Angelina Jolie, che ha co-prodotto il film, rivela di aver pianto per i primi venti minuti di Difret e di essersi rallegrata all'idea di dare un aiuto per farlo vedere al mondo. Evidentemente il suo contributo ha fatto la differenza per la distribuzione a livello mondiale, ma ancora troppo scarsa per quanto riguarda l'Italia. Intanto Difret ha ricevuto il Premio del Pubblico alla Berlinale e al Sundance, ha partecipato a numerosi festival ed è stato candidato all'Oscar dall'Etiopia per la categoria Miglior film straniero (ma senza entrare nella cinquina).
Dire che è tratto da una storia vera è riduttivo, ormai quale film non lo è? Meglio dire che è tratto da una pagina di storia, ancora molto attuale. Ambientato in Etiopia a metà anni '90 il film racconta la storia di Hirut, una ragazzina quattordicenne, rapita e violentata dall'uomo che la vorrebbe in sposa. Quando la ragazza cerca di scappare con un fucile trovato nella cella, viene inseguita e circondata da un gruppo di uomini e per difendersi spara al suo sequestratore, uccidendolo. Tutto questo accade in un villaggio a tre ore da Addis Abeba, in un luogo dominato dalle leggi tradizionali, che prevedono la telefa, il matrimonio forzato, e se ti opponi sei morta, per volere del consiglio superiore formato da soli uomini.
Per questo è impossibile non stare dalla parte di Hirut e ammirare il lavoro di Meaza Ashenafi, una donna avvocato che con il sostegno dell'Associazione Andenet si batte per i diritti dei più deboli, offrendo assistenza legale gratuita a chi non può permetterselo. Meaza è stata insignita nel 2003 del Premio Nobel per il suo impegno a difesa dei diritti delle donne in Etiopia. All'inizio del film, mentre da una parte vediamo Hirut partire da casa e attraversare i campi per andare a scuola, fino al momento del sequestro, dall'altra, ad Addis Abeba, osserviamo Meaza minacciare un uomo di fargli perdere il lavoro, con denuncia e processo, se non la smette di picchiare la moglie. Quando sente alla radio della ragazzina omicida, la va a cercare in prigione per aiutarla a difendersi dal linciaggio, portandola in tribunale e nascondendola in città per evitare vendette. Il film segue questo viaggio verso l'applicazione della legge, sulla strada dei codici e non delle intimidazioni.
La vera Hirut Assefa vive ancora in esilio e, nonostante abbia vinto la causa, la donna rischia ancora la vendetta che la famiglia dell'uomo ucciso ha giurato pubblicamente. Eppure già dal 1957 la telefa era ritenuta un crimine punibile con tre anni di reclusione, passati a quindici grazie a una recente revisione del Codice Penale.
Il regista Zeresenay Berhane Mehari è cresciuto ad Addis Abeba e ha studiato cinema all'Università della California. Il fascino di questo film è in buona parte dovuto a questo doppio sguardo, che unisce l'imprinting di una vita passata in Etiopia, in una città moderna, lontano dalle leggi arcaiche dei villaggi rurali, ma consapevole del contesto sociale, con il mondo occidentale dell'industria cinematografica.
È una storia commovente, girata tra campi assolati e il brulichio di una città africana. In un contrasto culturale tra buio e luce, ignoranza e istruzione, che fa venire i brividi. Eppure non così lontano dall'Europa. La passione per lo studio della piccola protagonista si scontra con l'ottusità di uomini che per rapportarsi con le donne conoscono solo lo strumento della violenza.
Alla base della sceneggiatura c'è l'incontro con Meaza e tre anni di raccolta di testimonianze e interviste a chi aveva preso parte a questa battaglia legale. Anche il viaggio produttivo non è stato semplicissimo, considerando che il film è sicuramente dedicato a un pubblico globale, ma era indispensabile che fosse visto anche in Etiopia. Non sono mancate le offerte di alcuni finanziatori occidentali, ma Mehari ha dovuto imporsi per girare il film nei luoghi autentici, in 35 mm, coinvolgendo attori e comparse etiopi e mantenendo la lingua originale. Per questo ha avuto il sostegno di alcune O.N.G. e fondazioni private. Angelina Jolie è arrivata durante la post produzione, dando la spinta finale e decisiva.
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In un luogo a tre ore da Addis Abeba, una ragazza quattordicenne mentre torna a casa da scuola, viene picchiata e rapita da alcuni uomini a cavallo. La coraggiosa Hirut afferra un fucile e cerca di scappare, ma finisce per sparare all'aspirante marito. Nel suo villaggio, la pratica del sequestro allo scopo del matrimonio è comune ed è una delle tradizioni più antiche dell'Etiopia. Meaza Ashenafi, un giovane e tenace avvocato, arriva dalla città per difendere Hirut e sostenere che lei ha agito per legittima difesa. Meaza si mette coraggiosamente in rotta di collisione con l'autorità civile e il rispetto del diritto consuetudinario, per salvare la vita di Hirut.