Bianca e Tomas sono due adolescenti italo-cileni che vivono nella degradata periferia romana. In un incidente perdono entrambi i genitori e di fronte a loro si apre un futuro di incertezza, si manifesta l’obbligo di crescere in un mondo sconosciuto e ostile sul quale non si affacciano quasi mai, finendo per barricarsi nella polverosa intimità del loro salotto. Lei lavoricchia come sciampista, lui ha la fissazione della palestra e l’incubo della verginità. Quando due sbandati convincono Bianca a prostituirsi con un ex culturista cieco per derubarlo, la ragazza si trova inaspettatamente a fare i conti con un barlume di inattesa umanità.
Tratto da “Un romanzetto lumpen” di Roberto Bolaño, Il futuro non nasconde le proprie ambizioni nel costruire un dolente romanzo di formazione, cupo e sessuato. La regista cilena Alicia Scherson mette in scena in ogni inquadratura una sorta di teatro dei corpi – resi tangibili dalla libido inespressa di Tomas, dal donarsi con pigra indolenza di Bianca, dal machismo muscolare e prevaricatore del “Bolognese” e del “Libico”, dalla forza ormai senza potere del vecchio Maciste – che a tratti risulta meccanico, narcotizzato dalla ricerca ossessiva del valore metaforico dei personaggi.
Scherson non riesce a liberarsi della potente matrice letteraria – che rende rigide alcune ambientazioni, esemplari ma programmatici quasi tutti i comportamenti – fino a ingabbiare la fluidità della storia, più emblematica che viva, e rendere difficile ogni emozione empatica.
Certo, nella durezza asettica di Bianca, scalfita da una tenerezza fino ad allora sconosciuta, si intravede un’umanità compressa pronta a manifestarsi, ma il racconto non sempre si eleva da uno schematismo di fondo dalle venature pauperistico-generazionali. Il futuro raffigura una gioventù impotente, succube dell’idolatria del corpo e del denaro, privata di tutto e inadatta a conquistare alcunché se non attraverso una deviante mercificazione che da fisica si trasforma in esistenziale.
La disperata ironia di Bolaño sembra qui mutare in pessimismo sociologico, perdendo però in profondità e forza evocativa, cedendo in parte il passo a un iperrealismo pretestuoso, a un’adesione scolastica ai personaggi. Il risultato è volenteroso ma disomogeneo e lascia la sensazione di un film irrisolto, troppo dedito all’accumulo tematico e all’abuso di meccanismi stilistici (tra cui una voce off impostata e didascalica) per trasmettere un afflato di sincera partecipazione.
Due fratelli adolescenti, Bianca e Tomás, rimasti orfani improvvisamente, si addentrano progressivamente in una vita tra crimine e prostituzione spinti da due piccoli delinquenti che si fingono loro amici. La speranza arriva personificata in Maciste, ex stella del cinema, vecchio, cieco e affascinante. Un uomo tutto muscoli e dal cuore grande che sarà in grado di far sentire Bianca al sicuro e farle vedere quella luce di cui la ragazza ha bisogno per affrontare il futuro.