La versione integrale di questo articolo è uscita sull'ultimo numero della rivista, Cineforum NS 1.
[...] Una donna promettente è molte cose insieme, tutte ruotanti intorno al concetto di umiliazione in seguito a una violazione. Una violazione in qualche modo eccentrica, che nel film agisce per preterizione, evocata costantemente lungo tutto l’arco della narrazione ma mai citata con parole esplicite, solo con perifrasi e circonlocuzioni, allo stesso modo di un trauma rimosso senza averne vissuto la complessa elaborazione. «Quello che è successo» è successo a Nina, lacerata da un abuso sessuale durante una festa universitaria che l’ha gettata in uno stato di profonda prostrazione a cui è seguito un inevitabile suicidio, senza che nessuno se ne assumesse alcuna responsabilità.
L’esordio di Emerald Fennell, autrice anche della sceneggiatura, dopo aver legato il suo nome a quel gioiellino di charm & tension che è Killing Eve, si traveste da revenge nel suo sviluppo ma intimamente, nella sua struttura in quattro fasi e un epilogo, è un morality play che scava nelle pieghe della colpa e s’interroga sui limiti del consenso, non concentrandosi soltanto sul colpevole, come farebbe un qualunque film sulla vendetta, ma indagando nel più ampio ventaglio delle responsabilità, personali, istituzionali e collettive.
Il motore è Cassie, l’amica di Nina, una Carey Mulligan lievemente più matura di quello che dovrebbe realisticamente essere, ma maschera pressoché perfetta di fragilità e distacco, fascino e intraprendenza. Il trauma di Nina è stato anche quello di Cassie: entrambe hanno abbandonato i promettenti studi di medicina come conseguenza del drammatico evento e la fine dell’una è stata la crisi dell’altra, che si è riavuta faticosamente da un crollo nervoso solo per un senso di necessaria rivalsa. Cassie è Nina e Nina è Cassie: Fennell tratteggia la prima unendo anche l’essenza della seconda, fondendole in un unico personaggio per rappresentare l’idea della femminilità umiliata e offesa, un cuore spezzato in due come il ciondolo indossato da Cassie con il nome dell’amica.
Nina, continuamente evocata come un fantasma inconscio impossibile da rimuovere, compare solo in una fotografia attaccata al muro mentre Cassie le augura buonanotte davanti a uno specchio, quasi si rivolgesse alla sua immagine riflessa, fiera di essersi appena vendicata dell’ennesimo predatore. Il concetto è poi ribadito nell’incontro di Cassie con l’ex compagna di università, quando il discorso è volutamente ambiguo, impossibile da chiarire oltre ogni ragionevole dubbio se si stia parlando di Nina o della stessa Cassie.
Raped vs Rest of the World. È questa la deriva in cui talvolta rischia di arenarsi questa tipologia di film, disinnescando per eccesso di furo- re la legittimità dell’accusa alla base. Concepire l’universo secondo una divisione manichea che dispone da un lato le vittime e dall’altro tutto il genere maschile come insieme granitico cui opporsi è procedura criticamente cieca e fin troppo banalizzante sul piano narrativo. […] Una donna promettente accusa tutti, indistintamente. Nei suoi quattro atti più l’epilogo, schematica- mente enumerati (uno schematismo che nell’epilogo rivelerà la sua natura di ribaltamento ironico), gli strali sono rivolti a ogni singolo aspetto sociale che concorra a stigmatizzare la vittima dell’abuso anziché il colpevole: l’ipocrita morale di chi pensa che la responsabilità sia soprattutto di chi si è spinto troppo oltre (la compagna di università), il vuoto garantismo di chi non intende rovinare vita e carriera dell’accusato sulla base di una denuncia (la preside dell’università), il torbido scavare nella dimensione intima della vittima per far sorgere il dubbio sulla sua integrità (l’avvocato del colpevole) e infine la rimozione dell’atto (il colpevole stesso) per continuare la propria vita a dispetto del dramma inferto.
[…] Il film rispetta eticamente la violazione del privato e non sonda i limiti del visibile, che nei film in cui il corpo rappresenta una questione morale è sempre pratica elastica sottoposta a critiche e violente reazioni (lo sa bene la Maïmouna Doucouré di Mignonnes, che ha provocato sconcerto in parte della critica e nella quasi totalità del pubblico per aver osato indugiare un paio di secondi oltre il lecito sulle movenze di un gruppo di minorenni francesi). Si parla di corpo violato rispettandone profondamente la sacralità, in una prospettiva contraria — ma non meno legittima — rispetto alla recente serie creata da Michaela Coel e coprodotta da Bbc e Hbo, I May Destroy You, in cui il corpo, abusato in un flash che origina un lungo scavo dentro se stessi, diventa invece manifestazione sensibile di una femminilità prorompente fatta di secrezioni, sangue e materia, in un percorso irregolare costellato dai dubbi, da un’incosciente fierezza e dall’approdo finale a una soddisfacente creatività.
[…] Una donna promettente è un’altra tessera di questo genere in progress, che si potrebbe verosimilmente attenuare con il fisiologico affievolirsi delle rivendicazioni del movimento, ma solo dopo aver dimostrato che un modo differente, più fiero e prospetticamente più ampio di raccontare gli equilibri tra i generi è sicuramente possibile.
La trentenne Cassie ha buttato al vento ogni speranza: da quando ha abbandonato gli studi di medicina lavora in un piccolo bar, vive coi genitori e ogni weekend gira per locali facendosi abbordare da sconosciuti. Cassie in realtà ha un piano: fingendosi ubriaca, intende dimostrare come ogni uomo che la abborda nasconda il desiderio di violentarla o possederla con la forza. Nel suo passato c'è un trauma che ha segnato il suo destino, un evento che l'incontro con Ryan, ex compagno del college, riporta a galla. Combattuta fra l'interesse per Ryan e il desiderio di chiudere i conti con il passato, Cassie darà una direzione definitiva alla sua vita.