Animale. Maschio. Femmina. Corpo. Anima. Cinque parole e un film che le mette insieme. La risultante: una commedia. Una commedia che è, letteralmente, la costruzione di un amore pezzo dopo pezzo. L'ungherese Ildikó Enyedi - autrice anni fa di un'altra splendida storia d'amore, Tamás és Juli - ha scritto il suo film come una spirale concentrica, partendo da lontano e accostando dimensioni oniriche e rappresentazioni realistiche e rivelando un po' alla volta il senso palese del racconto. Testről és Lélekről (On Body and Soul, Concorso) è fatto di sogni e di segni; è ovviamente un film psicanalitico, non troppo concentrato, però, sui meccanismi simbolici che mette in scena. È un film che ha l'intelligenza di trasformare il mondo che racconta nell'effetto finale, esplicito eppure mai banale, della convergenza di molteplici azioni e reazioni.
Centro del film è un mattatoio: ai piani superiori dell'edificio, i dirigenti osservano gli operai; ai piani inferiori, gli operai macellano mucche dallo sguardo vacuo. Tutti si guardano, si studiano e desiderano, nessuno si tocca. Insieme, dirigenti e operai, si incontrano nella mensa aziendale. Due personaggi, il direttore finanziario e la nuova responsabile della qualità, lui cinquantenne con un braccio paralizzato, lei trentenne apatica e vagamente autistica, si conoscono durante un pranzo dopo essersi osservati a distanza. La storia d'amore racconta dal film è ovviamente la loro, ma prima di arrivarci, immersi in un'atmosfera grigiastra da mediocrità esistenziale che un po' alla volta si apre a un umorismo e una dolcezza inattesi, bisogna assistere al progressivo e complesso avvicinamento dei due soggetti amorosi, come se ogni passaggio fosse la tappa di un processo onirico.
Lui e lei si incontrano prima di tutto nei sogni che fanno quotidianamente e, almeno inizialmente, a insaputa l'uno dell'altro: sono due cervi, una maschio e una femmina, che si annusano e si toccano, bevono nell'acqua dei ruscelli e cercano cibo in una foresta innevata. A farli incontrare veramente, oltre lo sguardo e la vicinanza fisica, è altrettanto ovviamente una sorta di terzo incomodo da commedia hollywoodiana, l'altro che fa da terzo vertice di una relazione che ha il terrore del numero due, del confronto, e dunque dell'amore vero. Tocca perciò a una psicologia avvenente e sessualmente disinibita, chiamata a fare perizie sugli impiegati del mattatoio, scoprire il mistero dei sogni in comune dei due futuri innamorati e dare il via alla relazione amorosa. E mentre i due si avvicinano fra mille tentennamenti, il resto dei personaggi del film, e con loro gli animali, gli oggetti, la musica e gli ambienti che ne fanno parte (con la macchina da presa che sta quasi sempre dietro vetri, porte e finestre per inquadrare e ingabbiare le figure) partecipano a una sinfonia di segni pronti a ripresentarsi e a scambiarsi di senso.
«Il linguaggio è una pelle», diceva Roland Barthes, «io sfrego il mio linguaggio contro l’altro». Testről és Lélekről sta racchiuso in una frase come questa, racconta l'amore parlando soprattutto di corpi (corpi di animali squartati, corpi di altri animali che si amano toccandosi, corpi di uomini e di donne che non sanno toccarsi ma un po' alla volta imparano a farlo...). Nel corso del corteggiamento amoroso a distanza fra i due protagonisti, le azioni ritornano, tutto diventa numero, ripetizione, oggetto mummificato. Le frasi dette sono memorizzate e trasformate in ricordo vuoto, al limite del patologico; il sangue fa prima orrore, poi diventa il segno di un cuore che comincia finalmente a battere; un braccio insensibile è un oggetto ingombrante che non è da ostacolo durante il sesso. Oltre la vacuità del reale, per fortuna, c'è l'incontro di due anime, non solo una combinazione di presenze.
«È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole», scrive ancora Barthes, e la regia e la scrittura di Enyedi, in questo film intelligentissimo e buffo, in linea con una certa tendenza del cinema europeo (Corpi, Toni Erdmann) che sta rivitalizzando la commedia a partire da una rappresentazione surreale della malattia fisica e mentale, ha la grazia di un discorso amoroso in punta di parola, complesso, ragionato, sottilmente doloroso, ma per una volta in stato di grazia sognante e indulgente verso il genere umano.