Se c’è una cosa che (purtroppo) ci siamo abituati a fare troppo spesso dopo mesi di chiusure forzate e conseguenti impennate di individualismo è quella di giudicare gli altri in ogni circostanza: prima eravamo tutti in modalità Finestra sul cortile per cogliere i vicini di casa in fallo, poi siamo diventati virologi per commentare ogni post su mascherine, vaccini e 5G, passando per Fedez, Amazon, la legge Zan, a discutere su chi dovresti amare o chi invece puoi odiare, se sia giusto inginocchiarsi per sconfiggere il “nazismo” o se invece sia meglio risolvere (?) la questione “a testa alta”. Se c’è invece una qualità che (purtroppo) sembra essere venuta meno e che probabilmente avrebbe risolto alla base gran parte dei conflitti da tastiera (e non solo) è la capacità di mettersi nei panni degli altri. In questo senso Piccolo corpo di Laura Samani sembra proprio un invito a provare a non giudicare senza pensare, a fare quello sforzo di immedesimazione che a volte ci si dimentica di fare, ad accettare una scelta che non avremmo mai pensato di compiere. La storia è quella di Agata, una ragazza che nella laguna veneta di inizio ‘900 ha perso sua figlia alla nascita. Secondo la tradizione cattolica, l’anima della bambina nata morta è condannata al Limbo. Agata sente parlare di un santuario in montagna, dove i neonati vengono riportati in vita per un solo respiro, per battezzarli e salvare la loro anima. Riuscire a dare un nome alla figlia significherebbe testimoniarne il passaggio su questo mondo, far sapere che è esistita ed è stata importante per la vita di qualcuno.
Quella di Agata è di certo una scelta non semplice. Si tratta infatti di un viaggio della speranza, denigrato da chi non capisce e non ci prova nemmeno, da chi lo giudica inutile e senza senso, da chi non ha mai portato sulle spalle il fardello di scelte altrettanto complesse e altrettanto incomprese. La macchina da presa segue a distanza ravvicinata il cammino della protagonista, quasi a volerne testimoniare la tenacia, la convinzione e la determinazione. La segue in maniera emotivamente coinvolta, prendendo quasi per mano lo spettatore e invitandolo a osservare e a scavare sotto alla superficie delle cose. Semplice e al tempo stesso profondo come le convinzioni più pure che danno la forza ad Agata, l’esordio di Laura Samani è un film capace di essere essenziale, incisivo e convincente. Nella scatola di legno che la ragazza si porta sulle spalle non c’è solo un piccolo corpo, ma sono presenti anche tutte quelle idee, quelle cause e quelle fedi per cui vale la pena continuare a lottare. Allo spettatore viene solo chiesto di non fermarsi alle apparenze e di non liquidare con sufficienza la complessità dei sentimenti. In quella scatola c’è anche la visione di una regista che crede nella propria storia e nella propria messa in scena quanto la protagonista è convinta del suo percorso. Ed è proprio per questo che Piccolo Corpo riesce a regalare un finale emotivamente e visivamente potentissimo, capace di spazzare via miracolosamente ogni dubbio, ogni scetticismo e ogni titubanza. A convincere anche chi inizialmente pensava che quella di Agata fosse una follia, che invece la sua era un’idea per cui valeva la pena vivere.