Brigitte, o Una certa idea della Francia

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Il 5 dicembre del 1967, ebbe luogo all’Eliseo una serata di gala in onore degli operatori del settore cinematografico. Brigitte Bardot, che era stata invitata dal presidente De Gaulle nonostante le titubanze della sua signora (pare che “Tante Yvonne” non gradisse l’invito a un’attrice che aveva recitato nuda per Vadim e Godard), si presentò vestita con una giubba ricoperta di alamari. Il Generale, che per l’occasione si era vestito in borghese, esclamò «Voilà, un militaire!». Per anni, prima di ritirarsi a vita privata e perseguire con grande coerenza e costanza il suo appoggio alla causa animalista, Brigitte Bardot in effetti ha rappresentato une certaine idée de la France. Di lei, di De Gaulle e della Tour Eiffel si diceva fossero i tre francesi più famosi al mondo, e i suoi tratti sono riconoscibili nell’effige della Marianne che negli anni 60 decorava le pareti di tutti gli uffici pubblici dell’Esagono. Il 28 settembre compirà gli anni, e abbiamo scelto di salutarla con un articolo e un brano tratti dai nostri archivi, rispettivamente di Giorgio Cremonini («Cineforum» n. 225, giugno 1983) e di Piero Antonio Lacqua («Cineforum» n. 94, settembre 1970). Heureux anniversaire, BB!

 

 

«Cineforum» n. 225, giugno 1983

 

Brigitte Bardot: vive la différence!

 

Giorgio Cremonini

 

La vasta, instancabile operazione-revival che da alcuni anni ossessiona l'Italia, costringendo gli operatori culturali alle più dure fatiche nel campo della filologia filmica, un po' sull'onda delle rivisitazioni e rivalutazioni francesi (una “moda” lanciata dalla nouvelle vague e non più abbandonata), un po' alla ricerca di “nuovi” materiali di consumo, un po', infine, sul mito sempre seducente della nostalgia, ha finito per scoprire, fra gli altri, il mito di Brigitte Bardot. Milano le ha dedicato un vasto polverone di iniziative palesemente (ma non sfortunatamente) incomplete, che appaiono fondate su un solo imperativo: scelto un argomento, fare qualcosa - e non importa che cosa. Il che ci conduce a interrogarci sui perchè della scelta. Come mai Brigitte Bardot oggi?

Non lasciamoci ingannare dalle motivazioni sociologiche, sparse a piene mani da intellettuali da sempre ammalati di “socializzazione”, ma neppure dalle tentazioni di un “come eravamo” che in fondo non ha radici molto diverse. Di questi due aspetti complementari ha soprattutto parlato, più o meno lucidamente e all'unisono, la stampa, ma non è stato sufficiente a rimuovere il sospetto che ancora una volta la scelta sia di fatto puramente cronologica e che rientri nelle “linee” di quegli operatori culturali che hanno come vademecum un datario: questo è l'anno di X che ha esordito sugli schermi quarant’anni fa, oppure l'anno di Y che è morto vent’anni fa, di Z che… Una scelta, insomma, crono(il)logica e perciò casuale, nemmeno più tanto precisa perchè il mercato delle manifestazioni “culturali” preme e accetta che non si vada più tanto per il sottile: BB ha quasi cinquant’anni e da quasi dieci anni ha smesso di fare film.

In realtà un'altra ragione ha premuto, ed è la trasmissione che Antenne 2 della Rtf ha dedicato alla diva. Quando si tratta di cinema, si sa, i francesi non solo non possono avere torto, ma hanno addirittura sempre ragione. Così, se hanno dedicato tre ore del loro tempo audiovisivo a BB, significa che BB lo merita. In realtà Brigitte Bardot Telle Quelle, un ritratto proposto da Alain Bougrain-Duborug, realizzato da Catherine Poubeau, che la nostra Rete Tre ha mandato in onda in maggio col titolo Brigitte Bardot Proprio lei, non significa solo questo, ma ci rivela una insospettata e insospettabile verità: che una trasmissione televisiva possa anche essere “fatta bene”.

Qualcuno dirà: grazie tante, che è fatta bene. In fondo c'erano le vecchie foto e i vecchi brani filmati da Mr. Bardot, documenti, nel loro piccolo, eccezionali; in fondo c'era lei, la star, simpaticamente disponibile, dopo tanto silenzio, a una lunga intervista, così come a mostrarsi scalza mentre fa la spesa al mercato di Saint-Tropez, mentre dà da mangiare ai gatti che forse una volta erano di Colette (o comunque ai loro discendenti), mentre gioca coi suoi cani; in fondo c'è, nel suo come nel nostro passato, un mito, un successo travolgente, una immagine della Francia, un'ondata di desiderio collettivo che riaffiora, facendo dimenticare gli acciacchi e le decadenze degli utraquarantenni. Come non approdare, date queste premesse e questi ingredienti, al successo? come non realizzare, appunto, una trasmissione “fatta bene”? Beh, basterebbe gettare uno sguardo a Il bambino di celluloide, messo in onda più o meno nello stesso periodo, per rendersi conto di come sarebbero stati facili da noi il fiasco e la noia; oppure basterebbe pensare a una tavola rotonda con l'immancabile Placido (Beniamino delle folle e degli intellettuali alla ricerca di una immagine di sè meno seriosa e accademica della tradizione), con il prof. Spaltro (quello di Emilio Fede), magari con le testimonianze della Lollobrigida e altre amenità del genere; o basterebbe infine pensare che nello stesso periodo le nostre tv, nazionali e locali, hanno diffusamente celebrato i miti (oh, perbacco!) di Milly Carlucci (Blitz, Maurizio Costanzo Show, eccetera) e di Carmen Russo (Mixer). È inutile, ogni botte dà il vino che ha e, nel campo del cinema, e della televisione, ci troviamo a contrastare Beaujolais e Bordeaux, per non dire Champagne, con le lattine Giacobazzi.

Brigitte Bardot Telle Quelle ha un pregio che poche altre inchieste televisive posseggono: il ritmo. Il miscelamento di brani (interviste, documenti, brani di film) è equilibrato e movimentato al tempo stesso; ogni frammento lascia emergere l'interesse e non lo tronca troppo presto, né lo soffoca dilungandosi troppo; i passaggi e gli accostamenti fra un brano e l'altro non sono gratuiti, né seguono un filo logico conosciuto solo all'autore: sono immediati, giocano sui fatti, cioè sulle immagini - non tanto per restituire quella che potrebbe essere la verità o una verità, ma, più semplicemente, un discorso. Non sarà un capolavoro, ma è buona televisione, fatta da gente che se non conosce l'arte, conosce un mestiere. Ed è buona televisione perchè, a ben guardare, è buon cinema.

La verità, le immagini: in questo solco si situa l'intervento della stessa Brigitte, la quale ripercorre alcuni momenti e temi del suo glorioso passato senza la tronfia sicumera della diva che ha conosciuto tutto ciò che di importante c'era da conoscere, senza la facile nostalgia del «Quelli erano tempi!» e persino senza le punte di rimpianto per la giovinezza perduta ed il successo abbandonato – ma con una disincantata tranquillità, con un’accettazione non dovuta ma naturale. Ne esce un ritratto il cui fascino, lungi dall'essersi perduto (come molti hanno preteso, trascurando un gesto che nell'occasione diventava obbligatorio: guardarsi allo specchio), si è trasformato: la donna BB, l'ex diva, ha in fondo lo stesso sguardo ingenuo e malizioso, distaccato e ironico, divertito e naturale che aveva in passato. Poco importa che le sue affermazioni corrispondano a verità, ancora una volta ciò che conta è la coerenza dell’immagine, del discorso, dello sguardo insomma, una coerenza non cristallizzata o impietosa, ma semplicemente naturale. Allo stesso modo poco importa che i film da lei interpretati siano spesso bruttini ma La ragazza del peccato o La verità non sono certo peggio di Niagara, Il disprezzo non è certo peggio di Ninotchka) o che la stessa BB non sia stata, in fondo, una grande attrice - cosa di cui lei stessa sembra peraltro convinta.

Anche di lei si può dire che è stata spesso impiegata male. Basta rivedere Viva Maria! o Un'adorabile idiota per leggere nella sua presenza una possibilità altrove trascurata: il suo disincanto, la sua ironia, il suo divertirsi della vita (tutte qualità intuite da Vadim, che  aveva però il limite di essere un pessimo regista) scrivevano un personaggio “brillante” contro le tentazioni mélo in cui quel personaggio, sull'onda di una malintesa concezione del divismo (la stessa che aveva rischiato di distruggere Marilyn nel naufragio di Niagara), veniva schiacciato senza che potesse emergere - ma anche contro le dive tutta ciccia di casa nostra: un personaggio la cui trasgressività era sempre mediata e sdrammatizzata dall'ironia, un personaggio che ha cominciato a prendersi sul serio soltanto dopo, fuori dal cinema, cioè nel momento in cui è diventato persona. Di qui sono nate le sue battaglie in difesa degli animali, che avevano il coraggio e l'intelligenza della parzialità (in fondo non è obbligatorio, e spesso è anche controproducente, battersi sempre contro tutto il mondo). Di qui è nata la pesante ostilità nei suoi confronti (si sa che le divinità, prima di essere celebrate, debbono anche essere vilipese): Come? Un sex-symbol che fa politica? È scandaloso, contro le regole. Le dive dovrebbero stare al loro posto, che è la clausura della Garbo, il letto suicida di Marilyn o la clinica per alienati (ovvero alcolizzati) della Hayworth. Non si perdona invece a BB di essere tornata donna, di invecchiare “bene”, di giocare con i suoi cani e di amare le foche. Non le si perdona di non essere una nuova versione del mito di Norma Desmond. Ma ciò significa ancora una volta non capire quella che è stata la chiave del suo successo: la differenza, appunto.

 

 

«Cineforum» n. 94, settembre 1970

 

Note e considerazioni su Godard – Le mépris

 

Piero Antonio Lacqua

 

[…] Per Godard il film è l'arte del presente, d'un presente captabile attraverso una tensione tra improvvisazione e intenzione. Ma nel regista francese ci sono anche altri livelli problematici: il contrasto vita-letteratura, rivissuto molte volte quale dialettica stilistica documento-finzione, diventa, ad esempio cancro psicologico in Paul Javal, primo personaggio totalmente non naïf della ritrattistica godardiana. Godard ha detto casuale la baricentricità di Paul, ne Le mépris, dipendente dal fatto che Camille interpretata da Brigitte Bardot, non poteva rappresentare che una natura molle, istintiva, tale da costituire un ulteriore, interessante problematico punto di vista. Nonostante questa corporale presenza di Brigitte Bardot, vale sottolineare come proprio da alcune sequenze che coinvolgono Camille si possa illustrare la tendenza di quest'opera unica nel vorticoso produrre godardiano. Alludo al tentativo di Camille di ricostruire attraverso una serie di flash-backs il comportamento ambiguo di Paul verso il produttore Prokosch; addirittura con un procedimento mentalistico degno di Resnais: tra questi stralci sfuggenti di memoria è inserita una breve sequenza di Capri (dove non è ancora andata, dove non vorrebbe andare) che nella sua appartenenza al futuro è già un annuncio del suo cedimento psicologico. Se Le mépris è il più psicologico dei film godardiani, è pur sempre un film della “prova”: i perché non sono che sospetti e la mdp spinge al massimo la sua percettività: ed esempio nella lunga sequenza nell'appartamento romano, con la mdp oscillante da Paul e Camille: e ancora qui, nelle interrogazioni di Paul, l'angoscia di dover decifrare un volto, una voce. Parole e gioco di sguardi: nel Disprezzo spesso si creano vere catene di sguardi. Non è comunque il celebre sguardo robbe-grillettiano, asettico, analitico; scriveva Godard nel 1952 sui «Cahiers»: «Le regard puisq'il permet de tout dire, puis de tout nier, car il n'est qu'accidentel, est la pièce maitresse du jeu de l'acteur de cinema…». E nel 1957: «Regarder autour de soi c'est vivre libre. Le cinema reproduit la vie, doit donc filmer des personnages qui regardant autour d'eux».