Che senso ha fare un film sull’attrazione, congelandolo a congegno esteticamente perfetto ma privo di qualsiasi sussulto, senza alcuna empatia, svuotato dell’erotismo che, normalmente, lega due corpi incapaci di stare lontani l’uno dall’altro?
Todd Haynes è un regista lontanissimo dal cinema di desiderio. Da anni si impegna in operazioni di messa in teca e formaldeide di melodrammi (basti pensare a Far From Heaven, 2002) che del meló anni ’50 riprendono unicamente l’estetica, i colori, il décor.
Carol è un’opera visivamente perfetta, recitata benissimo (Cate Blanchett e Rooney Mara sono, come sempre, impeccabili) e di una noia mortale. È un film castrato e castrante, come certi quadri iperrealisti, tecnicamente impeccabili, ma privi di qualsiasi passione. A che servono? Al di là dell’esercizio di stile, usciti dalla sala non rimane altro. Eppure generazioni e generazioni hanno imparato a innamorarsi, a litigare, a vivere attraverso il cinema, hanno imparato una morale, hanno imparato come comportarsi con gli altri (come viene detto nel monologo finale, quello sì, davvero splendido, di Trois souvenirs de ma jeunesse di Arnaud Desplechin). Che rischi si prende il regista? Se confrontato a un’opera folle e coraggiosa, personalissima e sentita come As mil e uma noites di Miguel Gomes, verrebbe da dire che Todd Haynes non solo non si lancia, ma tiene già il paracadute aperto.
Carol, donna bellissima e sofisticata, si innamora, ricambiata, di Therese, ragazza che lavora ai grandi magazzini come commessa, ma che coltiva un interesse per la fotografia. Ovviamente, vivendo nell’America perbenista degli anni Cinquanta, la loro relazione dà scandalo – l’ormai ex marito di Carol cercherà addirittura di toglierle la custodia della bambina, gettando la donna nella disperazione.
I film di Douglas Sirk e di William Wyler, a cui Haynes dichiaratamente si ispira, seppur molto casti, svelavano una tensione tra i personaggi principali palpabile, concreta. Il rapporto tra Carol e Therese, invece, i loro baci, le carezze che si scambiano mentre fanno l’amore la prima volta, sono di una tale freddezza da diventare mortiferi. E d’altra parte la perfezione è mortifera, non ha alcuna sensualità. Il desiderio quanto più è imperfetto e sbilenco, tanto più è vitale.
Da sempre ciò che è proibito e “sbagliato”, come la storia tra le due donne per l’epoca in cui vivono, si trasforma in una macchina di desiderio inarrestabile che tende a mangiarsi tutto il resto, facendosi beffe di buone maniere e buon senso, contaminando tutto quel che è pulito e limpido, spostando i protagonisti in una zona opaca e confusa, in balia dei propri sensi e delle proprie pulsioni. Todd Haynes invece non trasgredisce mai, non affronta le ambiguità che un rapporto amoroso per sua natura comporta, non si lascia andare.
Benché Fa yeung nin wa (In the Mood for Love, 2000) di Wong Kar-wai - forse tra i melodrammi più belli mai realizzati - fosse un’opera pudica e esteticamente inattaccabile, l’erotismo tra Su Li-zhen e Chow Mo-wan era talmente potente da fungere da detonatore in ogni inquadratura, violando la perfezione delle immagini, e riempiendole di significato, come un corpo ne riempie un altro coi suoi umori, sporcandolo, stravolgendolo, permettendogli di perdersi, perdendosi a sua volta.
Carol rimane invece una scatola elegantemente agghindata ma vuota, a metà tra un trompe-l'œil raffinato e certi fiori finti che, visti da lontano, in controluce, fanno pensare allegramente alla primavera ma, avvicinando il viso, non emanano alcun profumo.