È uscito nelle sale il 23 novembre Detroit, l'ultimo film di Kathryn Bigelow (premio Oscar per The Hurt Locker). Cine Sony (canale 55) questa sera alle 22:55 ci propone la terza opera della regista, Blue Steel - Bersaglio Mortale, con protagonista Jamie Lee Curtis. Un film "tutto al femminile, di iniziativa femminile, sul lavoro, e coi sentimenti e col sesso", come scriveva Giuseppe Gariazzo su Cineforum 317. Ne riportiamo qui alcuni passaggi.
Un piano sequenza all'inizio, prima dei titoli di testa. Un corridoio. Un poliziotto (Jamie Lee Curtis) lo percorre e entra in una stanza dove si trovano due persone, un uomo e una donna. Il poliziotto spara all'uomo, ma non fa in tempo a bloccare/colpire la donna che a sua volta le spara. Stop. Si trattava di un'esercitazione di cadetti di polizia. Tutto falso. Un doppio binario di visione, di percezione, di struttura di racconto (molto, molto ellittico) è partito.
E il far cinema di Kathryn Bigelow si mette in azione, ancora una volta, dopo la co-regia d'esordio The Loveless (girato insieme a Monty Montgomery) e Near Dark - Il buio si avvicina e prima delle esplosioni concettuali di Point Break. Ma comunque, sempre di punti di rottura si tratta. Il far cinema della regista statunitense sta tutto lì. Nel rompere con estetiche "date", con sguardi pre-fissati, con narrazioni convenzionali. [...] Anche in questo caso, Bigelow è strettamente avvolta nelle estetiche, nei linguaggi, negli sguardi che caratterizzarono (e ancora oggi, appunto, rappresentano un'eredità cui attingere continuamente, certo, con razionalità e coscienza) i lavori di Roger Corman e quelli della sua factory (e vedremo che esiste un particolare "contatto"/piacere con un film indifeso di quel periodo, Jackson County Jail).
Un film di sguardi. Ancora una volta, come nei casi migliori, come in tutto il cinema da qualsiasi nazionalità provenga che conta, che si fa sentire , percepire, toccare, amare, col quale godere. Un film di sguardi senza esitazioni. Accenni in fase di sceneggiatura. Ed "esemplificazioni" in fase di realizzazione. Finora, il film più "deviante", centrato nella radicalità dell'azione e del suo svolgersi, della necessità che informa il soggetto (ed è un film tutto al femminile, di iniziativa femminile, sul lavoro, e coi sentimenti e col sesso) e al tempo stesso profondamente strabico, condotto su visioni e tempi/riflessi (ipotesi) mancati - l'inizio, la non tempestività dell'agire in Jamie Lee Curtis che al corso si fa "uccidere" non avendo previsto contromosse adeguate -, ai lati/ai margini dell'inquadratura.
[...] Bigelow - provenienza, è bene ricordarlo, dalla video arte, esperienza fondamentale riportata nel suo far cinema, un contatto di immagini infinito, di aderenze ai corpi tese, manipolazioni in un lavoro tra notte e giorno continuamente attivato, e vedere rivedere in particolare Near Dark per rendersene conto - gioca fin da subito le sue carte e crea nuove traiettorie concettuali, uno stile che definisce il suo fare visione, corpi e cose disegnate all'interno dell'inquadratura. Un lavoro in profondità sulla percezione - visione tout court. E la pistola così diventa davvero corpo pornografico, percorsa dalla mdp (nella seconda sequenza del film, mentre scorrono i titoli di testa) in tutti i suoi interstizi. Corpo vivo, in contatto/ adesione con quello - straordinario strepitoso fortissimo, il più hard che il cinema abbia proposto negli ultimi tempi; [...] - dell'attrice, Jamie Lee Curtis accarezzata dall'obiettivo, dal basso verso l'alto mentre si abbottona l'uniforme e si veste.
Pallottole inserite. Penetrazioni "altre". Ma anche/ancora inattesi iridi-occhi per guardare, per riuscire con lo sguardo a penetrare/superare le ovvietà. Quelle dei colleghi che per tutto il film non la accettano comprendono capiscono, nonostante le evidenze dei fatti , nonostante le "certezze", perché bisognerebbe credere tout court e magari cedere a racconti e visioni di una persona ripetutamente messa sotto stress, e dunque poco "credibile". E le ovvietà della sua famiglia, un padre manesco che non si capacita di vedere sua figlia trasformarsi in uno sporco sbirro, e una madre (è Louise Fletcher, corpo ormai quasi assente dagli schermi, fantasma nonostante la "prestanza") picchiata e sottomessa.
Bigelow, appunto, cerca e trova punti di rottura, non tanto di fuga. [...]. Cerca e trova tensioni trasversali, emozioni oblique, facendo sentire nella sequenza più completa e più complessa tutto il rapporto pulsante vita/morte. È il momento in cui Jamie Lee Curtis è a letto con il suo collega (Clancy Brown). I baci dell'uomo sul corpo di lei, a tutto schermo, sulla sua pelle (e un'altra profonda teorica aderenza, con la pelle-pellicola); la donna supina con la testa girata, un godere/piacere mentre dietro la porta chiusa, nel bagno-set accanto, il serial killer gelido (tre anni dopo quello "documentaristicamente" mostrato da John Mac Naughton in Henry: portrait of a serial killer e prima di un'altra inflazione in tempi ben più recenti), cioè a pochi centimetri di distanza (lui è un bravissimo Ron Silver) sta togliendosi - contropenetrazione - un proiettile, sanguinando e al tempo stesso riattivando una pistola, un'arma pronta nuovamente a colpire. Tensione crescente in un apparire e sparire di corpi. Si mostrano Curtis e Brown. Sarà colpito e ri-apparirà, grondante sangue. Colpito da Silver che minaccia, corpo a corpo, Curtis. Vita e morte in un abbraccio infinito. In una delle sequenze più hard (con certi altri abbracci presenti in Near Dark, anche lì tra morte e vita, mutazioni in essere, pericoli e necessità di correrli, mai alienandosi) girate dalla regista americana.
[...] Un finale a fuoco/fuori fuoco, centrato/strabico, che segue attimi di puro sguardo. E di segni ritornanti. Ron Silver uccide solo dopo aver costretto le loro vittime a guardarlo negli occhi. E lo scontro western tra lui e l'agente Megan/Curtis si sostiene tutto in un lungo/dilatato duello di sguardi, penetrazioni dentro gli occhi e metafore evidenti: il maniaco scarica le ultime cartucce, gli ultimi due colpi di pistola, contro il parabrezza dell'auto in cui si trova, in mezzo alla strada, la donna, creando due fori, due ulteriori "occhi". Contatti e visioni. In questo caso con i tempi del thriller, duro e sensibile. Contatto tra immagini mai isolate nel contesto identificativo del far cinema della regista. Immagini dipinte in un film che Bigelow tras-forma in "puri" oggetti di perversione visuale.