Burn After Reading - A prova di spia

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Stasera (venerdì 21 luglio) alle 21:20 su Iris va in onda Burn After Reading - A prova di spia (2008) dei fratelli Coen. Passato un po' in sordina - anche perché uscito fra due grandi capolavori firmati dai Coen come Non è un paese per vecchi (2007) e A Serious Man (2009) - è in realtà un film pieno di cose interessanti. E proprio per questo abbiamo recuperato un lungo estratto della recensione che Pier Maria Bocchi e Luca Malavasi scrissero a quattro mani sullo speciale che Cineforum 478 (ottobre 2008) dedicò al film, subito dopo la presentazione alla Mostra di Venezia (il pdf è disponibile qui).


Lode – per modo di dire – al pragmatismo americano. Diceva Emerson: «Nessuna legge può essere sacra per me se non quella della mia natura». Linda Litzke, impiegata in una palestra, sembra essere cresciuta col quel motto scolpito nella testa, e adesso, superati i quaranta, vuole ritoccare un po’ qua e un po’ là, alzare gonfiare smagrire, senza faticare troppo tra tapis roulant, macchine e pesi (che pure ha di fronte, dall’altra parte del vetro del suo ufficio); insegue l’istinto e la sua voglia di cambiare e essere ciò che vuole come vuole. E da buona emersoniana, non accetta che le leggi della burocrazia, i diktat del fitness e la matematica monetaria le impediscano di ottenere ciò che desidera nel modo in cui lo desidera.

Perfetta erede del “liberismo” del padre della self-reliance americana, Linda aggiunge al modello un pizzico di quella sanissima disattenzione per la sorte altrui su cui si fondano l’individualismo trionfante e altre “monadi” ideologiche made in Usa, prima tra tutte il mito della realizzazione personale. E col suo senso della giustizia un po’ autogestito (e alimentato, viziosamente, proprio dall’intensità del desiderio: ciò che voglio è buono e giusto perché è ciò che voglio), Linda, senza saperlo, sgomita e distrugge, senza volerlo uccide, senza vederlo manda a gambe all’aria vite e carriere. Ma va avanti, pura e innocente, tutta presa dal suo obiettivo e scaldata dal suo desiderio: sono americana e voglio le tette nuove.

Un po’ come accade nell’ultimo Woody Allen (e senza prendere le tangenti allegoriche di un Dante o del Burton di Mars Attacks!), i Coen – che infatti, per il precedente, hanno scelto McCarthy e i suoi contrasti netti e la sua lingua dura, erede di Hemingway e parente di Gifford – sublimano il sublimabile, prosciugano filosofia morale idee e riducono il cinema a una geometria euclidea di cose, fatti, corpi, azioni. Perfino il meccanismo della suspence, che in Non è un paese per vecchi, nella scena dell’albergo, anche se rivissuto come artificio specificamente cinematografico, dava ancora luogo a un bellissimo momento di dilatazione del tempo e di sospensione dell’azione, in Burn After Reading finisce travolto da questa semplificazione. Quando il colpo parte (dalla pistola mai usata del bamboccio Harry Pfarrer/George Clooney verso il volto ginnico dell’idiota Chad Feldheimer/Brad Pitt, elaborazione a distanza del personaggio di Johnny Suede), parte e basta, improvvisamente: né suspence né, in fondo, vera e propria sorpresa. Il volto ebete di Chad e il sorrisetto incredulo dello spettatore parlano di un’irruzione imprevista e non proprio a tono, di un fatto alieno sopraggiunto all’im provviso, un momento splatter saltato dalla trama con la stessa distrazione con cui parte il colpo dalla pistola.

Il bello di questi Coen – mica tanto diversi da quelli del precedente, genere a parte – è che non hanno più dèi, piccoli o grandi, da omaggiare; non hanno più precedenti con cui dialogare o estetiche da aggiornare, e anche la citazione è ormai orfana di antecedenti e referenti. In Burn After Reading si presentano in versione tritarifiuti, semplici, sfacciati e superficiali, determinati e deterministi come il bellissimo personaggio di Linda, Frances McDormand, con una visione del mondo e della vita priva di curve e profondità. E il Linda-pensiero finisce per contagiare il film anche dal punto di vista stilistico: lo spettacolo della superficie regna sovrano, e la profondità è proprio quella – e soltanto quella – della superficie, come usano dire i francesi (profondeur de la surface): ossia, una rete di eventi apparentemente sciolta da un piano di senso ulteriore, come neppure nel minimalismo evocativo di tanto cinema indipendente e in certa letteratura americana contemporanea. Qui volti, parole e azioni restano ancorati a un piano pesantemente letterale, non rimandano, non suggeriscono, non richiamano; sono così e basta. È uno spettacolo duro e puro, quello di Burn After Reading, senza neppure il minimo sindacale del travestimento grottesco o della caricatura: anche l’accento o la punteggiatura di troppo spingono, al contrario, l’immagine a terra, più vera del vero. L’effetto finale, un po’ paradossalmente, è quello di un cartoon documentaristico: come se i topi e i gatti gommosi di Hanna & Barbera fossero una realtà “vera” ripresa da vicino e in modo neutro. La macchina da presa dei Coen, non a caso, non è mai stata così ferma, impassibile, frontale come in questo film.