Questa sera, su Rai 5, alle ore 21:15 andrà in onda Class Enemy. Opera prima di Rok Bicek e trasposizione cinematografica del testo teatrale "Nemico di classe" (di Nigel Williams). Ripubblichiamo qualche estratto della recensione scritta da Rinaldo Vignati uscita su Cineforum 539 (acquistabile qui). Ricordiamo inoltre la recensione scritta da Giampiero Frasca (qui) e l'articolo di Riccardo Lascialfari (qui) che pubblicammo sul nostro sito.
Con una formula sintetica, si potrebbe definire Class Enemy come l’“anti-Attimo fuggente”. Non solo, e non tanto, perché all’approccio passionale, ricco di sentimenti e di ardore romantico del film di Peter Weir si sostituisce in quello di Bicek un approccio freddo e distaccato. A opporre i due film è il fatto che in L’attimo fuggente (Dead Poets Society, 1989)[…] vi è una chiara dicotomia tra il “sistema” e l’individuo: il primo mira a generare conformismo, il secondo cerca di preservare gli spazi della sua libertà e autonomia e il film mostra lo scontro che si produce quando un professore mette in discussione la tradizione del sistema e ne infrange le regole. In quel caso è perciò chiaro quale sia la posizione dell’autore e per chi, nella contesa, debba parteggiare lo spettatore.
In Class Enemy la chiarezza di questa dicotomia scompare. Il film lo dice in modo persino programmatico – un paio di volte (prima dalla preside durante la riunione coi genitori, poi dal professore nel discorso finale) sentiamo ripetere che le cose non sono solo bianche o solo nere. È vero che quella dicotomia sopravvive nell’interpretazione che gli studenti usano per giustificare la loro ribellione: leggendo la situazione in quella chiave, interpretano la loro opposizione ai metodi dell’insegnante e dell’intera scuola come una lotta per la libertà contro un “sistema” definito autoritario, o nazista.
[…] La dissoluzione di queste due polarità emerge con chiarezza nella scena-simbolo della ribellione. Ne L’attimo fuggente quando gli studenti salgono sui banchi a dare l’ultimo saluto a Keating, il professore che l’ha sostituito intima loro di ritornare al posto, e alcuni studenti, timorosi delle punizioni o ligi ai valori della tradizione, rimangono seduti: il momento della ribellione separa in due campi distinti, quelli che stanno dalla parte del sistema e quelli che stanno dalla parte della libertà. In Class Enemy, invece, quando gli studenti si presentano in classe con una maschera (ribaltamento del significato che aveva in The Wall: qui la maschera non è segno di perdita di autonomia, ma ha un valore opposto – assumendo l’identità di una “vittima del sistema” i suoi compagni affermano che, anziché essere annullata, quell’identità si è moltiplicata), tutti – anche il professore e il primo della classe – la indossano. Si annulla così la differenza, e la contrapposizione, tra il sistema e gli individui. La maschera cambia nuovamente di segno e diventa semplice nascondimento del proprio volto, delle proprie reali intenzioni […]Le due polarità – sistema e individuo – intorno a cui sono costruiti i film citati si dissolvono. Da una parte, il sistema si sgretola e si scopre pieno di conflitti interni (viene meno la tradizionale alleanza tra genitori e professori; gli stessi professori si rivelano portatori di interessi divergenti piuttosto che di valori unanimemente condivisi). Dall’altra, gli individui, privati della “forma” imposta dal “sistema”, invece di conquistare la “libertà”, non riescono a costituirsi come soggetti indipendenti e le loro relazioni, venute meno le restrizioni poste da un’autorità riconosciuta, si risolvono in un permanente conflitto.
«Benvenuto nel ventunesimo secolo», viene detto al professore di Class Enemy, a sottolineare il fatto che una volta erano gli studenti a temere i professori, oggi avviene invece il contrario. I film citati in apertura si svolgono negli anni Cinquanta. Class Enemy è invece ambientato ai nostri giorni, in un contesto radicalmente mutato, nel quale l’istituzione scolastica è indebolita e, in particolare, come indicano numerose ricerche sociologiche, gli insegnanti vivono una drastica perdita di status e di considerazione sociale. Il film di Bicek parte dunque dalla medesima problematica di La classe (Entre les murs, 2008) di Laurent Cantet – film che torna alla memoria anche per l’ambientazione rinchiusa (quasi) interamente tra le mura scolastiche. […]
A differenza di Cantet, e dei suoi personaggi a tutto tondo, Bicek ricerca una maggiore stilizzazione e fa di tutto per creare distanza tra lo spettatore e i protagonisti, introducendo a momenti anche tratti che virano verso il caricaturale (le impacciate avances della professoressa di ginnastica, l’assemblea dei genitori, eccetera). Ma l’orizzonte sociale che rappresenta è lo stesso, quello di una scuola nella quale l’autorità e l’autorevolezza dei professori viene messa in discussione (tanto dagli alunni quanto dai genitori) e che, in tal modo, sembra aver indebolito il fondamento del proprio ruolo educativo e formativo. Qual è la posizione del giovane regista sloveno di fronte a questa situazione?
[…]In realtà, il film sfugge fino alla fine al tentativo di incasellarlo in una tesi (nemmeno il professore, con le sue certezze, aveva del resto saputo dare risposte alle domande di Sabina), dato che procede per contraddizioni e depistamenti, tanto che nel lungo discorso si sarebbe tentati di vedere non tanto l’invocazione della necessità di ristabilire un’autorità, quanto piuttosto […] l’ennesimo segno della beffarda ed enigmatica ambiguità che domina l’intera storia.