Questa notte su Rai 4 alle 00:35 andrà in onda Dracula di Bram Stoker (1992) diretto da Francis Ford Coppola. Cineforum 321 dedicò uno speciale con gli articoli di Franco La Polla ed Emanuela Martini (che curò anche un interessante inserto fotografico). Pubblichiamo i passaggi iniziali dell'articolo di Franco La Polla nei quali parla del rapporto tra il film e il romanzo di Stoker. (Suggeriamo di recuperare entrambi gli articoli, disponibili sulla rivista acquistabile qui). (Alcuni estratti del pezzo di Emanuela Martini, inoltre, sono online qui).
In uno dei più bei racconti di Algernon Blackwood, The Woman Ghost Story, uno spettro che infesta una casa stregata dice a una giovane donna - abbastanza coraggiosa da trascorrervi una notte - che i fantasmi desiderano soltanto una cosa: essere amati. E le chiede un bacio. Riluttantemente, la ragazza acconsente: l'esperienza è agghiacciante, ma lo spettro sparisce. Coppola sembra aver letto Blackwood, non soltanto Stoker. Quest'ultimo c'è nella fedeltà a dettagli che le precedenti versioni cinematografiche avevano seccamente eliminato: Morris l'americano, che sembra uscito dai Bostoniani di Henry James (o di James Ivory?) e che più tardi nel film finirà per sembrare uscito da un "nuovo" western alla Walter Hill, non pochi particolari di dialogo […] ma soprattutto la struttura formidabilmente tortuosa, sconnessa, che a taluno può anche aver fatto apparire il film complesso persino incongruente.
In realtà Coppola si è limitato ad accogliere i suggerimenti formali che Io stesso Stoker aveva sparso tanto abbondantemente nel suo libro; a un punto tale che non si può non dar ragione a Francesco Saba Sardi quando nella sua bella introduzione a una delle edizioni italiane dice che la struttura del romanzo è cinematografica, fondata com'è su una vera e propria visione e pratica del montaggio. Coppola, anzi, non è nemmeno andato sino in fondo rispetto l'originale stokeriano: vi sono parti del libro (gli articoli di giornale o le descrizioni meteorologiche) che la sceneggiatura ha completamente ignorato, o per meglio dire, ha tradotto - come in fondo è giusto al cinema - in termini visivi […] Coppola ha operato ancora una volta il miracolo: di un film su commissione ha fatto una pellicola unica, giocando sia sul versante della materia che su quello della forma. […]
La premessa informativa di carattere storico - assente in Stoker - contestualizza il personaggio e la sua vicenda individuale: Vlad IV fu effettivamente il terrore dei Turchi invasori nel XV sec. La dimensione di queste vicende superate dal tempo e catalogabili fra le remote e sempre identiche storie di guerre e carneficine viene resa da una tecnica rappresentativa che se è vero che rimanda alle vecchie lanterne magiche - come tanta critica ha subito sottolineato - è anche vero che figurativamente riporta alla mente l'Alexander Neuskij (quell'intrecciarsi d'aste!) da un lato, e dall'altro anche l'artificiale colorismo che percorre i sentieri più diversi della cinematografia mondiale, dal Mago di Oz a Kurosawa sino a certi ricalchi scorsesiani. E ci dimenticheremo poi del Boorman di Excalibur, della sua fierezza guerriera, del ritorno di Pendragon al castello? Ma già qui siamo lanciati su un sentiero autoreferenziale e potremmo facilmente arrivare a una qualunque versione di Giulietta e Romeo nella morte per equivoco della moglie di Vlad, o ai Boiardi e ai religiosi di Eisenstein. E quella croce che vomita sangue, oltre che San Gennaro che cosa riporta alla memoria del cinefilo? Nessun esibizionismo: Coppola sta testimoniando sin dall'inizio la natura metalinguistica della sua pellicola. Attenzione però a non cadere nell'errore di pensare all'operazione come identica a quelle che per circa un ventennio abbiamo spesso incontrato nel cinema americano post-Nuova Hollywood. Coppola, in effetti riprende quel coté, ma per inserirlo in una visione sviluppata, ampia, organica del cinema come gli anni '70 ancora non conoscevano.
E l'avventura teorica (perché di questo si tratta) comincia subito dopo l'antefatto: quegli occhi della coda di pavone sul bacio dei due giovani protagonisti che in una dissolvenza così perfetta da non sembrare neanche tale - ma piuttosto una sovrapposizione, una coesposizione - diventano l'immagine dell'uscita dalla galleria nella quale corre il treno che sta portando Jonathan in Transilvania, dopo che, avendo passato Budapest, egli ha “l'impressione di entrare in Oriente” (notazione che nel testo stokeriano è infinitamente più sfumata). Ed ecco che subito gli occhi di Dracula si sovrappongono all'immagine di Jonathan nella carrozza sullo sfondo coloristico di un rosso angosciante.
A questo punto abbiamo già abbastanza elementi per indicare i due assi di riferimento attorno ai quali si sviluppa la pellicola: lo sguardo e la continuità della visione. Lo sguardo è infatti il leitmotiv dell'intero film: Dracula piange ed elabora il suo piano quando vede il ritratto di Mina, il folle Renfield attende, da dietro le sue lenti spessissime (tanto da renderlo quasi macchietta), di vedere il Maestro arrivare per lui, Dracula intima un interiore “No! Non vedermi!" quando Mina lo incrocia per strada ancor vecchio, laddove, compiuta la sua giovanile trasformazione, se ne esce in un “Vedimi, vedimi adesso!”, e quando Dracula, in forma di demonio vampirico, si ritrae nel buio dopo essere stato sorpreso nella camera di Mina, l'ultima cosa che vediamo di lui sono gli occhi di brace (che ricordano Goya). Ma soprattutto la seduzione di Mina avviene nel luogo scopofilo per eccellenza, una primitiva sala da proiezione cinematografica.
[…]l’altro cardine del discorso che Coppola accarezza e sviluppa nel film, quello che ho chiamato "continuità della visione". Sintatticamente infatti l'intera pellicola è pensata quasi fosse un flusso continuo, ininterrotto. Non di rado l'immagine che chiude una sequenza si sfalda, si consuma si trasforma in un'altra che apre quella seguente. Non è esibizionismo ma anzi il suo esatto contrario: non esprime staticità ma dinamismo, movimento. Dall'occhio della coda del pavone che diventa galleria alle bolle dell'assenzio che sfumano nel vorticoso sangue che pare ingrandito al microscopio, al tuffo di Jonathan la cui onda si allarga in un'altra immagine oscura, la pellicola inscena un diverso modo di raccordare i singoli blocchi narrativi. Se quindi è vero che il romanzo di Stoker è in sé un magnifico esempio di montaggio, è altrettanto vero che Coppola tenta di battere nuove strade nell'organizzazione sintattica, quasi un enjambement operato per mezzo di una sorta di dissolvenza.