Questa sera su Rete4 alle 23:55 Effetti Collaterali di Steven Soderbergh. Il film del 2013 con protagonisti Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones e Channing Tatum. Pubblichiamo alcuni passaggi della scheda che Simone Emiliani scrisse per Cineforum 525.
Ipnosi sensoriali
Un altro contagio. Stavolta più epidermico e meno cerebrale del virus partito da Hong Kong e che si propagava nei diversi angoli del mondo proprio in Contagion. Ed è qualcosa che nel cinema di Soderbergh oltrepassa le barriere di uno schermo prima più impermeabile, che smembra la struttura da noir glaciale della sceneggiatura di Scott Z. Burns (alla terza collaborazione col cineasta dopo, appunto, Contagion e The Informant!) e si diffonde attraverso una contaminazione che spinge tutti i personaggi che vengono a contatto con Emily sull’orlo del precipizio. Ma si è anche invasati da uno sguardo che segue tutti gli scatti e i vuoti della protagonista, “effetti collaterali” che portano ancora dentro le altre dimensioni di un cinema che appare continuamente vissuto in soggettiva, drogato da quei colori trattenuti, ondeggianti tra il grigio e il blu, che hanno un effetto ipnotico simile a Insider. Dietro la verità di Michael Mann nel modo in cui smaterializzano le figure, dando l’illusione di lasciar agire prima le zone del cervello che produce continue allucinazioni/visioni dei muscoli del corpo.
Un quadro che si anima
Come dei demoni. Schizzi improvvisi di vernice che si animano e prendono forma. Con Emily che sembra venire fuori da un dipinto, eroina tragica che sembra provenire dalla letteratura del Romanticismo, prima raffigurata e immortalata in un quadro. Poi esce da questo, si reincarna e, diventata inafferrabile, “contagia” la vita di chi entra in contatto con lei, dal marito Martin, allo psichiatra, il dottor Banks, che viene fatto scivolare sull’orlo dell’abisso anche quando rimane isolato nel suo appartamento, dove viene come inghiottito assieme alle figure della moglie e del figlio, che sono praticamente entità estranee. […]
Del resto Steven Soderbergh è il pittore e l’animatore del suo cinema. È infatti anche il direttore della fotografia di gran parte dei suoi film da Traffic (in Schizopolis non era accreditato) e il montatore di circa la metà, firmati rispettivamente con gli pseudonimi di Peter Andrews e Mary Ann Bernard che si riferiscono ai nomi del padre e della madre. Ed è per questo che nel suo cinema le immagini spesso danno l’impressione di essere sfumate, di poterne rintracciare gli schizzi di base e poi animarsi attraverso un ritmo di montaggio che gioca su frequenti sfasamenti. […]
Effetti collaterali cerca di piazzarsi sempre su quel punto in cui è possibile sfondare la barriera, quindi il telo, quindi lo schermo. Dietro i quali c’è il nulla, il vuoto, il nero. […] Come se in quello che appare sempre essere il suo ultimo film [...] ci dovesse sempre essere un’ultima inquadratura, quindi la fine del personaggio principale e della storia anche dopo pochi minuti dall’inizio. E il film a quel punto può prendere altre strade oppure, utopia totale ma grandiosa, interrompersi all’improvviso anche dopo poco tempo. [...]
Rooney Mara, falso biopic
The Girlfriend Experience, Knockout. Resa dei conti e Magic Mike hanno chiuso un’anomala trilogia nella filmografia del cineasta, basata su tracce autobiografiche nelle quali il loro corpo sembra sdoppiarsi: la pornostar Sasha Grey, la campionessa di arti marziali Gina Carano e il passato da spogliarellista di Channing Tatum hanno dato modo al cineasta di reinventare frammenti di un’esistenza individuale in qualcos’altro, di sdoppiarli, di portare loro stessi dentro i suoi film sotto le tracce di altre identità. Rooney Mara, che porta direttamente in Effetti collaterali quei segnali disturbanti appena accennati in The Social Network e poi esplosi in Millennium. Uomini che odiano le donne, viene filmata anche con un approccio documentaristico, come se Soderbergh stesse pedinando la sua instabilità e guardando, anzi catturando, tutti i segni della sua malattia.[...]
Non c’è Rooney Mara dietro Emily. O forse sì. E Soderbergh, come con le altre figure femminili di The Girlfriend Experience e Knockout. Resa dei conti, gioca anche sulle sue performance fisiche, sulle sue fughe. Ma soprattutto ciò che è in continua metamorfosi è lo sguardo dell’attrice. Roteante, acceso, spesso spento e assente. Una “doppia personalità” dove il cinema del regista non è mai stato così vicino a quello di Brian De Palma. Emily si può sdoppiare come in Le due sorelle, essere ancora un’emanazione pittorica come in Complesso di colpa e in più è soggetto voyeur come nella scena in cui guarda dalla finestra Jude Law e Catherine Zeta-Jones, i due psichiatri, e mette in atto nella sua testa la propria macchinazione. Dove tutta la scoperta simulazione finale potrebbe durare anche per sempre. Dark ladies, con tracce di quell’erotismo più accennato nelle conseguenze (le foto compromettenti lo sono di più del bacio tra la dottoressa e la paziente) ma anche l’idea di un film che si trasforma in un backstage, dove non sembra esserci più distinzione tra il set e quello che c’è fuori, tra il materiale scartato e quello invece incluso nel montaggio. Ed è qui che tutta l’ultima opera di Soderbergh diventa magnificamente inafferrabile e si lancia verso territori sempre più sorprendenti.