Questa sera su Italia 1 (canale HD 506) alle 21:20 Harry Potter e la pietra filosofale, film del 2001 (regia di Chris Columbus) tratto dal primo libro della saga letteraria scritta da J.K. Rowling. Su Cineforum 411 Fabrizio Pirovano scrisse la scheda del film e noi ve la riproponiamo integralmente.
Difficile parlare di Harry Potter solo e soltanto come opera cinematografica. Harry Potter è innanzitutto un libro. O meglio una serie di libri, di cui quattro già pubblicati su un totale di sette libri, uno per ogni anno di permanenza del piccolo mago alla scuola di magia di Hogwart. Una vera e propria saga letteraria che ha affascinato, catturato milioni di bambini e di adulti in tutto il mondo. Harry Potter è diventato con il trascorre del tempo un fenomeno di costume che va ben oltre i suoi meriti letterari. Un marchio, un logo ormai globalmente riconosciuto in grado di vendere una quantità industriale di libri, giochi per computer, capi di abbigliamento, strani giochi di carte, peluche e giocattoli di ogni sorta. Infine, ma solo infine, Harry Potter è anche un film.
Harry Potter e la pietra filosofale è la fedele trasposizione cinematografica del primo libro della serie letteraria. Una riduzione cinematografica che segue in maniera pedissequa la traccia narrativa segnata dal primo libro scritto da J.K. Rowling, risultando ben più superficiale e mellifluo rispetto al libro stesso. Due sono le caratteristiche principali del libro che vengono completamente a mancare nella pellicola.
In primis, laddove all’interno del libro la narrazione si svolge ponendo in primo e primissimo piano le diverse sfaccettature dei protagonisti, regalando al lettore una infinita serie di personaggi tri e a volte quadridimensionali capaci di incuriosire anche il lettore adulto, il film, si concentra quasi esclusivamente sui tre giovani protagonisti, Harry e i suoi due amici Ron e Hermione. Mentre l’opera letteraria è un’opera guidata dai personaggi, il film, privato della profondità dei personaggi, risulta essere molto più semplicisticamente guidato dalle azioni. Si ottiene in questo modo una narrazione cinematografica frantumata in diversi episodi, una serie di situazioni, sequenze filmiche, il cui unico principio, oltre logicamente all’ordine cronologico meticolosamente rispettato per non creare alcuna confusione nello spettatore, è quello della giustapposizione: una (in)finita serie di quadretti, arricchiti da un uso e sopruso degli effetti speciali creati al computer, capaci contemporaneamente di attirare gli occhi stupefatti degli spettatori e di distrarre le loro menti dal vuoto spinto che li circonda.
Questa tendenza alla frantumazione risulta maggiormente evidente nella sequenza finale del film, nella quale i tre protagonisti si trovano a dover fronteggiare diverse prove. L’intera sequenza è suddivisa in cinque microsequenze ciascuna delle quali contiene al suo interno una delle prove. Ogni microsequenza rappresenta un quadretto a sé stante, capace di sopravvivere solo grazie all’utilizzo degli effetti speciali. Ciò che dal film è difficile se non impossibile dedurre è che ciascuna delle prove rappresenta una estroflessione delle paure e delle angosce dei protagonisti. Mentre il principio unificante del libro è una esplorazione dell’interiorità dei personaggi, dei loro dubbi e delle loro paure, quello del film è l’appagamento visivo, il rimpiazzare l’immaginazione del lettore, sollecitata dalle parole scritte nel libro, con lo stupore dello spettatore atrofizzato dal perfetto uso degli effetti speciali. Mentre nel libro le invenzioni fantastiche e la sorpresa rappresentano una parte importante ma non essenziale della narrazione, anzi sono perfettamente integrate e funzionali ad essa, nel film gli effetti visivi rappresentano l’essenza/assenza stessa del racconto cinematografico.
In seconda istanza l’enorme successo dei libri targati Harry Potter è dovuto alla perfetta gestione di un semplice principio di accumulazione e omogeneizzazione di diverse fonti letterarie, mitologiche e folcloristiche coordinate alla perfezione dall’autrice. La capacità dell’autrice è infatti quella di utilizzare come principio unificante delle fonti e dell’infinità di rimandi letterari più o meno colti, lo humour. Un sottile humour prettamente anglosassone che permette all’autrice di trattare con disinvoltura e sullo stesso piano di importanza elementi appartenenti alla mitologia classica (il cane a tre teste) e al folclore anglosassone (il troll della montagna), senza alcuno scarto, senza alcuna variazione. Nell’universo scritto di Harry Potter tutto è trattato come se appartenesse al mondo reale, tutto viene omogeneizzato e reso digeribile dalla leggerezza e dall’ironia che traspare dalla scrittura di J.K. Rowling.
Il film, invece, manca completamente di un principio unificante, di uno stile omogeneizzante. Si limita alla traduzione visiva, più o meno riuscita, più o meno stupefacente, dei frammenti del libro più significativi dal punto di vista della pura successione degli avvenimenti. Questo procedimento maldestro consegna allo spettatore una (in)finita quantità di brandelli cinematografici appartenenti all’universo del già visto, alla storia del cinema da Guerre Stellari ad Atto di Forza passando attraverso Gremlins e Piramide di Paura, avvicinati tra loro seguendo la tecnica del collage. Tali e tanti sono i riferimenti cinematografici utilizzati che il film perde a poco a poco una sua identità, una sua seppur minima compattezza narrativa. È chiaro che, mentre il libro è in grado di creare un universo parallelo, un luogo altro dove si può perdere il lettore, il film per poter vivere e sopravvivere non può fare a meno della sua memoria cinematografica, utilizzando un procedimento tipico dell’era informatica, quello di copiare schegge di altri testi filmici e di riportarle, copiarle, senza alcuna variazione al suo interno. Un procedimento di “copia/incolla tecnologico” che ben sintetizza tutta l'operazione cinematografica.