Questa sera, in onda su Italia 2 alle ore 22:55, il film capostipite della saga cinematografica di Indiana Jones: I predatori dell'arca perduta di Steven Spielberg. La pellicola (1981) mette in scena per la prima volta le avventure del famoso archeologo interpretato da Harrison Ford. Nell'articolo scritto da Emanuela Martini su Cinefourm 208 (acquistabile qui), si parla di cinema americano, del suo immaginario e del suo insistente ricorrere alla citazione. Ne riportiamo alcuni estratti.
[…] Da circa 15 anni non c'è film americano (o, almeno, film americano degno di nota) che non contenga nel proprio tessuto narrativo, in certe immagini o In certe battute del dialogo, ammiccamenti più o meno scoperti alla propria natura di film e alle proprie ascendenze (cinematografiche) proclamate o ribaltate. Indipendentemente dalle diverse direttrici privilegiate dalle specifiche pratiche registiche, non c'è dubbio che questa ricorrenza della riproduzione e della citazione (che diventa spesso, nell'affannoso accavallarsi del tempi reali, autocitazione), che passa comunemente sotto Il termine «nostalgia», vada ormai ben al di là di una tentazione alla moda. Come sottolinea Franco La Polla, ”il cinema americano è... la testimonianza che l'orologio si è fermato, che la Storia si è azzerata nella produzione di spettacolo, che lo spettacolo ha invaso le strutture stesse del reale nell'emulsione di un immaginario che è divenuto la vera figura del mondo... Il cinema americano contemporaneo ci informa che dopotutto non esiste una teoria del cinema che il cinema stesso non abbia già in sè. Ecco perché la nostalgia, lungi dall'essere una moda, appartiene al cinema e alla sua antologia. L'immagine è sempre e comunque nostalgia del reale. Un reale che nel momento in cui si riduce a riproduzione di sè è già definitivamente perduto». E conclude con la rlaffermazione di un approccio non mistificante del cinema a se stesso e alla propria funzione: "Oggi, certo cinema americano non ci chiede di immergerci nel sogno, ma di confrontarci con una realtà problematica che esso fa le viste di osservare e mostrare. Ancora una volta, sembrano più onesti e meno ingenui quei cineasti che rinunciano a tali impossibili ambizioni riservando al cinema quel che gli compete: uno statuto di tecnica principe in un mondo dominato dalle immagini».
l predatori dell'arca perduta si colloca apertamente in questa dimensione, rigorosamente razionale, programmata e costruita. Lucido esemplare della propria razza, accumula elementi e segni dell'immaginario collettivo in grado, tra l'altro, di scatenare l'effetto nostalgia nello spettatore (e ancora di più, o quasi esclusivamente, nel critico). Ecco forse perché i cosiddetti ambienti culturali tendono a osteggiare con una visceralità istintiva i film di Spielberg, mentre invece sottoscrivono con saccente entusiasmo la naiveté di Lucas (il Lucas di Guerre stellari): perché un conto è abbandonarsi, con la coscienza dell'abbandono, alle regressioni infantili dove il manicheismo è un trucco narrativo e viaggia su convenzioni iconiche, appunto, infantili o comunque popolari; un conto invece è veder spiattellato in pubblico il proprio statuto immaginifico come parte di un universo mediale tanto diffuso e totalizzante da far convivere, al medesimo livello, suggestioni di infimo ordine e riferimenti colti. Spielberg probabilmente andrebbe benissimo se non osasse avvicinarsi a Twain, e magari neppure a Duel […]
Per tornare comunque alla specificità di l predatori dell'arca perduta, il film denuncia apertamente la propria natura di chiassoso depositario di immagini chiudendosi tra due fotogramml esemplari. In apertura Il simbolo abituale della Paramount lascia il posto in dissolvenza a una montagna perfettamente identica come forma e distanza dalla macchina da presa; su questa, da uno spazio Intermedio che sta tra noi e lo schermo (tra la macchina da presa e il set), entra la schiena a distanza ravvicinata di Indiana Jones, che noi seguiamo per “introdurci” nella storia, o meglio, in quell’universo Paramount.[…]
Identica e contraria soluzione per le immagini finali: Indiana e Marion, persone per bene e ben vestite […] si allontanano chiedendosi che fine farà l'arca In mano al governo degli Stati Uniti; a questo punto vediamo trasportare la cassa che racchiude l'arca e, attraverso una panoramica all'indietro sempre più alta, ci accorgiamo che viene depositata in un gigantesco magazzino stracolmo di identiche casse (e li, probabilmente, giacerà per sempre). A parte la palese, immediata ironia nei riguardi di un potere che tralascia e dimentica i tesori acquisiti, l'Immagine ha la funzione fondamentale di ”portarci fuori” dall'universo nel quale abbiamo avventurosamente stazionato per due ore; l'arca giace momentaneamente dimenticata e confusa tra la molteplicità delle altre suggestioni del nostro immaginario (e dell'immaginario cinematografico, che è poi lo stesso); il magazzino è là […] l’impressione, piuttosto sgradevole, che rimane è la stessa di Quarto potere, quella di una soluzione prossima che, all'ultimo momento, trascolora irresistibilmente in recessi al di sotto della coscienza, l'impotenza a incasellare e catalogare. Comunque, ne siamo (per il momento) fuori […]