Questa sera su Rai 5 alle ore 21:15 andrà in onda Il sale della terra. Documentario del 2014 dedicato al noto fotografo Sebastião Salgado, raccontato attraverso lo sguardo di Juliano Ribeiro Salgado e di Wim Wenders (entrambi registi del film). Valentina Alfonsi, su Cineforum540, scrisse una recensione che riportiamo in parte qui sotto (numero interamente acquistabile qui).
Il sale della terra nasce dall’incontro di due desideri di conoscenza, diversi ma convergenti: da una parte c’è Juliano Ribeiro Salgado che, diventato adulto, vuole capire finalmente chi sia quel padre così forte e affascinante ma spesso distante, completamente preso dalla fotografia; e dall’altra c’è Wim Wenders, innamorato della “scrittura di luce” attraverso la quale Sebastião Salgado ha raccontato in più di quarant’anni la bellezza e la tragedia dell’essere uomini.
[…]un documentario, che è innanzitutto un ritratto d’artista: ecco quindi la parte biografica, piuttosto corposa, grazie alla quale veniamo a conoscenza del contesto familiare e professionale che ha consentito alla passione di Salgado per la fotografia di svilupparsi e crescere; ecco la spiegazione dei motivi che l’hanno spinto a viaggiare, sempre attratto dai luoghi più pericolosi del Globo (per Salgado i pozzi di petrolio in fiamme del Kuwait post guerra del Golfo erano uno “spettacolo” irresistibile); ed ecco, naturalmente, le celebri fotografie, frutto di una vita spesa come esploratore e testimone.
[…]Come autore, Wenders sceglie di fare un passo indietro. Anche se a un certo punto la sua voce fuori campo osserva che girare un film su un fotografo è particolarmente interessante perché produce un incontro (o scontro) tra due sguardi artistici, quello del regista e quello del soggetto, l’occhio attraverso il quale guardiamo la realtà resta fino alla fine quello di Salgado. Anche in senso fisico, grazie a una bella idea di messa in scena. Una buona parte di Il sale della terra vede infatti Salgado seduto di fronte alle proprie opere: il fotografo le fissa, ci racconta quando, dove e perché è nato quello scatto, e guida la nostra attenzione sui dettagli più rilevanti. Durante queste sequenze Wenders alterna, e a tratti sfuma, le fotografie con il volto dello stesso Salgado, ripreso attraverso una superficie semitrasparente: così, per dirla con le parole del regista, Salgado sembra «guardare contemporaneamente le proprie fotografie e gli spettatori in sala».
[…]Wenders (insieme all’assistente Salgado jr., non dimentichiamolo, con il quale ha collaborato anche in fase di montaggio) filma tutto ciò in maniera molto diretta, lasciando che il protagonista rifletta apertamente sulla propria esperienza e la condivida con il pubblico, attraverso le immagini e le parole. Se Il sale della terra voleva essere una testimonianza sentita e coinvolgente del percorso di Sebastião Salgado come uomo, marito, padre e artista, allora siamo di fronte a un’opera perfettamente riuscita e di notevole valore educativo (nel senso migliore del termine). Del resto è proprio per questo che Wenders ha voluto dare tanto spazio, nella seconda parte del film, allo straordinario progetto ecologico di Instituto Terra. Tuttavia il cinema documentario può e, crediamo, dovrebbe andare oltre il racconto di una bella storia. Qui, è vero, ci sono già le foto di Salgado ad agire sulla realtà reinterpretandola e rendendola visibile in modo nuovo, ma uscendo dalla sala si ha quasi l’impressione di aver assistito a un convegno
[…]Forse bloccato dall’ammirazione nei confronti di Salgado, Wenders usa il linguaggio cinematografico solo per dare spazio al fotografo, per consentirgli di parlare, di farsi amare anche dal pubblico. Manca, insomma, una dialettica vera e problematica tra regista e materia narrativa, tra macchina da presa e realtà, tra film e pubblico. L’unico modo che il cinema ha per dialogare con un’immagine fotografica fissa è quello di farle riempire lo schermo? E lo scopo di un documentario dedicato a un artista è solo quello di lodarne la grandezza? Si tratta di mancanze che non rendono il film meno godibile o meno interessante, ma è inevitabile pensare che un approccio più sottile e meno piegato all’agiografia avrebbe prodotto risultati non necessariamente migliori (il film resta una visione appagante) ma di certo più vivi e stimolanti.