Questa sera alle 21:15 su Rai3 (canale HD 503) La pazza gioia, vincitore del premio come miglior film alla 62esima edizione dei David di Donatello (Paolo Virzì vinse il premio come miglior regista e Valeria Bruni Tedeschi quello per miglior attrice protagonista). Riportiamo la recensione di Andrea Frambosi scritta per il sito. Su Cineforum 555 potete invece trovare il pezzo di Francesco Saverio Marzaduri.
Tra Thelma & Louise e Il sorpasso? La tentazione di situare il nuovo, divertente, film di Paolo Virzì La pazza gioia all’interno di questi due poli è molto forte e anche per certi versi corretta. Non fosse altro che del primo riprende l’immagine che ne fa l’affiche e che rimanda, senza ombra di dubbio, all’immaginario veicolato dalla vicenda che vedeva protagoniste Susan Sarandon e Gena Davis, del secondo, l’utilizzo degli scenari (la costa tirrenica) che facevano da sfondo all’indimenticato capolavoro di Dino Risi. Il giochino però finisce qui. Intanto perché il regista stesso ha ammesso di non aver mai visto Thelma & Louise e poi perché il film è, insieme, molto di meno e molto di più.
All’interno di una comunità terapeutica per donne con problemi psichici, è ospitata Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi), nobile decaduta, ultraborghese (sulla rubrica telefonica ha, tra gli altri, il numero di Gianni Letta), logorroica, dipendente dal Valium (e da qualsiasi altra cosa simile), abituata all’ambiente dell’Argentario e alle crociere “sul sessanta metri di Pierluigi”. Nella stessa comunità viene ricoverata Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), ex cubista con un passato turbolento e accusata di aver voluto suicidarsi insieme al figlioletto.
Tra le due nasce una complicata complicità fatta di scontri e di incontri, di slanci e di insulti, di odio feroce che non potrà che sfociare in una grande amicizia, dopo che le due, elusa la sorveglianza, sono “fuggite” dalla comunità e si sono date, appunto, alla pazza gioia. Ma che è ovviamente una pazza idea, dove il sogno e l’allegria sono il frutto di un combinato disposto tra malessere e slanci ideali. Per Beatrice il ritorno (con sgomento dei parenti) alla vita di prima, per Donatella la ricerca del figlio dato in affidamento.
Insomma, sono le due classiche perdenti di successo, che hanno la sola colpa agli occhi della società di essere “nate tristi”. E che si prendono semplicemente una rivincita verso l’istituzione, sovvertendo l’ordine costituito, per poi farvi diligentemente ritorno. Se Valeria Bruni Tedeschi qui, va detto, in una prova maiuscola, fa sostanzialmente se stessa (con una punta di snobistica civetteria e di temperato macchiettismo), la Ramazzotti studia il suo personaggio in levare, trattenendo il dolore per lasciarlo scorrere dentro di sé come un dolce veleno, ma pronto a trasformarsi in amore.
Ovvio che sono loro due a tenere su tutta la vicenda che Virzì, tutto sommato, regge bene tenendosi equidistante dall’estetica dei “matti da slegare” ma anche dalle tentazioni spettacolari alla Qualcuno volò sul nido del cuculo. Viaggia a velocità diverse accelerando o rallentando, pigiando ora più sul pedale della commedia, ora su quello del dramma. Senza alzare la voce, oltretutto, butta anche lì qualche discorso sull’istituzione psichiatrica anche mescolando nel cast attori e veri pazienti dei centri che ha visitato per documentarsi. Cameo per il cantautore livornese Bobo Rondelli nella parte del truzzissimo ex amante di Beatrice che fa pipì, dal terrazzo di casa sua, in testa a Valeria Bruni Tedeschi: e anche questo è Paolo Virzì.