Mad Max: Fury Road di George Miller

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Questa sera su Italia 1 (canale HD 506) alle 21:20 Max Mad: Fury Road di George Miller. Quarto capitolo della saga e presentato fuori concorso al 68esimo Festival di Cannes, lo abbiamo inserito al decimo posto nella nostra classifica nei dieci migliori film del 2015. Giacomo Calzoni scrisse un articolo su Cineforum 545 che vi riproponiamo (non integralmente). Vi suggeriamo di leggere anche la recensione di Fabrizio Tassi per il sito.

 

Mito, frullato crudo

C’è un gran bisogno di certezze, oggigiorno, e il ritorno al cinema del personaggio di Mad Max è appunto una di queste. Il protagonista della saga ideata da George Miller rimane tutt’ora una figura di culto indiscussa per la maggior parte dei cinefili cresciuti negli anni Ottanta, ma anche uno tra i risultati più alti (almeno in termini commerciali) del cosiddetto fenomeno Ozploitation: oltre a Miller, il cinema di genere australiano di quegli anni ha infatti contribuito a lanciare la carriera di registi come Peter Weir, Richard Franklin, Russell Mulcahy, Phillip Noyce e altri ancora, allargando le coordinate geografiche dell’entertainment di qualità e catturando l’attenzione degli studios. [...]

Mad Max: Fury Road arriva dopo un battage pubblicitario a dir poco entusiasmante, grazie ad alcuni teaser e trailer dall’innegabile componente spettacolare; e proprio su quei trailer verrebbe quasi voglia di aprire un capitolo a parte, per cercare di riflettere sul lavoro di sintesi sulle immagini, sulla capacità di creare aspettative (oggi comunemente chiamate hype) rievocando universi già consolidati nell’immaginario collettivo attraverso la riproposizione di volti, nomi e situazioni familiari. […] Perché “il classico non si batte”, oppure perché squadra che vince non si cambia: ma in qualsiasi modo la si intenda, e in qualsiasi modo la si voglia giustificare, la tendenza a guardare – e guardarsi – indietro sembra una delle poche certezze (ancora!) dei nostri tempi.

Sulla effettiva riuscita di questa operazione è ancora presto per esprimersi: di certo ci sembra prudente procedere con cautela, avanzando qualche ragionato dubbio sugli smisurati entusiasmi generati dal film di Miller. [...]

Sia detto che nessuno mette in discussione i pregi della pellicola: il Mad Max del 2015 è un prodotto saldamente ancorato alla propria epoca, qui e ora, perfettamente in grado di sfruttare tutti i vantaggi dell’era del digitale in funzione di un’idea di cinema che non mette mai in secondo piano la sua componente autoriale. Un film in perenne movimento, una corsa sfrenata contro il tempo e contro la morte a ventiquattro fotogrammi al secondo, nel quale lo spettacolo riesce nell’impresa di non venire mai meno, neppure per un istante: un’esplosione orgiastica di suoni e colori, una continua aggressione ai sensi che impedisce allo spettatore di distogliere l’attenzione per tutta la sua durata. Superato con facilità il pretesto della narrazione – volontariamente ridotta ai minimi termini, ed è giusto così – Mad Max: Fury Road si libera da qualsiasi vincolo preimpostato per assecondare la propria natura genuinamente folle, anarchica, senza nessuna regola in grado di intralciare questa maratona di frames che valica stili e generi, passando dalle accelerazioni da videoclip ai colori desaturati, dai campi lunghi che si perdono a vista d’occhio ai corpi e ai volti segnati dalle cicatrici.

Difficile trovare un termine di paragone immediato e recente per un film che frulla al suo interno un immaginario vecchio (almeno) tre decenni, trasformandolo in diretta davanti agli occhi del suo pubblico e rendendolo qualcosa di difficilmente classificabile: non è un remake, non è un sequel, non è un reboot. Forse è un po’ di tutte queste cose, ma a chi importa e a cosa serve catalogarlo? Lo spettacolo ancora una volta è salvo, e si rivolge a fasce di pubblico di tutte le età, senza dover necessariamente conoscere a menadito le vicende della trilogia originale. Eppure, una volta superata la sbornia iniziale, sarebbe più che opportuno assumere un punto di vista che sia il più ampio e obiettivo possibile. Perché questo Mad Max: Fury Road non è, o almeno a noi non sembra, quel capolavoro del quale si fa un gran parlare; non è quell’opera seminale in grado di riscrivere le regole del genere; ma soprattutto, ne siamo certi, non è questo il momento per stabilire quanto e in che modo possa segnare una linea di demarcazione tra un prima e un dopo.

Se davvero risulterà essere così epocale come in molti hanno detto e scritto, ci ricrederemo; ma per adesso è difficile accettarlo fino in fondo, ancorato com’è a un immaginario e a un genere che lo priva di qualsiasi autonomia. Svincolato dalla memoria di ciò che c’è stato in precedenza, il film di Miller risulterebbe ancora così rivoluzionario? Incerto tra il rispetto del classico e la sua evoluzione versione 2.0, Fury Road sembrerebbe abbracciare di petto la seconda soluzione (almeno per tutta la prima metà), salvo poi ripiegare su se stesso e diminuire le proprie ambizioni linguistiche e visive.

Certo, tutto questo non è sufficiente a liquidarlo sbrigativamente come un insulso cinema-videogame, ma dimostra come in fin dei conti Miller non sia il primo né sarà l’ultimo ad abbattere i confini tra analogico e digitale, e il suo film si inserisce all’interno di un filone dove in molti si stanno già adoperando da anni, con risultati più o meno riusciti. Il suo è un cinema vivo (perché mai fermo, in continua evoluzione, malleabile), dove la fantasia dell’autore è la sola forza centripeta in grado di dare origine al tutto: ma il miracolo di Interceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2), ovvero la quintessenza lucasiana (ancor più che spielberghiana) di un genere e della sua messa in scena, rimane insuperata. La differenza tra qualcosa di epocale e qualcosa che, invece, è “solamente” un prodotto riuscito, sta tutta qui. Non che fosse intenzione di Miller superarsi, probabilmente: ma le iperboli critiche e le frasi a effetto andrebbero messe da parte, a beneficio in primo luogo dell’opera stessa.